burckhardt, oggi

scritto mercoledì 14 marzo 2007 alle 10:53

burkhardt

PERCHÉ BURCKHARDT?

La lettura dell’opera capitale di Jacob Burckhardt La civiltà del Rinascimento in Italia impone allo studioso odierno una domanda al limite del banale: che senso ha oggi leggere i risultati di un’opera ormai prossima a festeggiare il proprio centocinquantesimo anniversario?
Ancora ai nostri giorni l’originalità dei contenuti e la varietà delle fonti rimangono aspetti non secondari dell’opera dello scrittore di Basilea, ma bisogna pur ammettere che gli aspetti storici e storiografici del Rinascimento, presentanti nella Civiltà, sono ampiamente metabolizzati ed integrati al quadro complessivo che anche il lettore meno competente possiede dell’argomento. E del resto non potrebbe essere altrimenti se è vero che (al di là delle contestazioni dell’impianto teorico, occorse come è noto, già a partire da Croce) il fondamento di quasi tutti gli studi sul Rinascimento fino ad oggi è stata proprio la storia di Burckhardt.
Tale affermazione secca può suscitare lo stupore di chi sia documentato sul dibattito storiografico e dunque va precisata.
Una delle prime impressioni che si hanno nel leggere oggi la Civiltà è che il saggista non conduca tanto un percorso di documentazione scientifica, quanto invece una guerra partigiana tutta volta all’affermazione decisa di una tesi univoca, quella secondo la quale il Rinascimento italiano nasca come fenomeno doppiamente isolato: caratteristico cioè di una determinata regione europea (l’Italia) e di una specifica area cronologia (dal XIV al XVI secolo). Ora, il meccanismo attraverso il quale Burckhardt persegue questa tesi ha un’impronta decisamente narrativa che, pur avvalendosi di una vasta ricerca di fonti e testimonianze, sceglie la via avvincente del Mito . Ed è proprio in questo senso che egli costruisce l’immagine ancora universalmente riconosciuta del Rinascimento, l’idea “vulgata” entrata definitivamente nel nostro immaginario collettivo e quasi per nulla scalfita dai fiumi di inchiostro versati dalla folta schiera di medievalisti impegnati a vedere Leonardo, Michelangelo, Raffaello e soci come uno sviluppo più o meno naturale di una idea di uomo e natura già presente nel Medioevo.
Convinti pressoché tutti gli studiosi di questo fatto, non è però secondario che nelle scuole, (spesso ben al di là dell’insegnamento obbligatorio), ma anche in TV e suoi giornali, prevalga l’immagine del Rinascimento italiano come galleria di uomini illustri o somma di genialità irraggiungibili, non dissimile dal quadro presentato nelle Vite vasariane. E sebbene un’idiosincrasia fra pensiero scientifico ed immaginario collettivo si spieghi solitamente in sé, qui è interessante soffermarsi sul perché ciò accada, in quanto la Civiltà fissa e porta ad inestinguibile successo questa idea di Rinascimento propria della storiografia ottocentesca.

SUGGESTIONE DEL MITO: IL SAGGIO COME OPERA D’ARTE

La Civiltà rappresenta uno degli esempi più perfetti della “forma-saggio”, tipica del pensiero idealistico, nella quale il giudizio scientifico adotta quello che si potrebbe definire criterio della grandezza. Questa operazione critica produce una visione della Storia non come insieme organico e continuo di fatti in sé, ma come un affresco statico, in cui la successione degli accadimenti è indivisibile da una prospettiva etico-morale all’interno della quale l’autore esercita una speciale e privilegiata facoltà di giudizio.
I personaggi della galleria burckhardtiana sono monadi grandiose che lottano con se stesse, col Tempo e con la Storia, esprimendo tutta la potenza della propria individualità attraverso azioni i cui effetti storici sono secondari rispetto alla caratterizzazione morale.
Sbilanciare la prospettiva etica ed individuale di un protagonista storico è esattamente l’operazione burckhardtiana ed equivale a trasformalo nel personaggio di una narrazione. In una figura cioè dalla quale il lettore è fortemente suggestionato e con la quale egli arriva a condividere una “prospettiva sentimentale”.
Tale processo può essere contestato (e così è stato) dagli storici contemporanei, (il cui sistema poggia sulle coordinate cartesiane della causa e dell’effetto per giungere ad una spiegazione esatta di un dato fenomeno), eppure possiede in sé una forza mai sopita ed in tutto originale: il “potere incantatore” della favola.
Appena completata la lettura della Civiltà non ci rimarrà impresso tanto un percorso causalistico di eventi, ma una successione avvincente di storie con protagonisti affascinanti perché inauditi nel bene e nel male. Colpiranno la nostra fantasia le vicende di questi uomini lacerati nell’anima da una duplice tendenza: il medioevo barbarico ed una tensione quasi mistica alla modernità.
Si avranno in mente gli orrendi assassinî dei Borgia, l’empietà dei festini nella Roma di Pietro Riario o il fervore dei monaci predicatori di Savonarola. Emblematico in questo senso il racconto della mitica ascesa della famiglia Sforza, le cui origini si perdono nella leggenda.
In un contesto simile è evidente come le basi scientifiche “astratte”, (principali strumenti dello storico contemporaneo: demografia, sociologia, statistica) diventino assai meno articolate ed anzi, si potrebbe dire che le stesse fonti e le opere critiche utilizzate da Burckhardt siano quasi tutte interne al XVI secolo.
Ognuna di queste fonti domina un aspetto particolare della trattazione: per la parte artistica le Vite di Vasari; per la parte politica le opere storiche di Machiavelli; per la parte morale varie cronache del periodo (per lo più riprese dagli annali di Ludovico Antonio Muratori). Vi sono poi fonti ricorrenti durante un po’ tutto lo svolgimento del saggio; è il caso di Matteo Villani, Bernardino Corio, Benedetto Varchi, Stefano Infessura, Giovanni Pontano, Paolo Giovio, Vespasiano Fiorentino. Si tratta di una enumerazione del tutto indicativa, ma che da sola può servire a capire in parte perché l’opinione di Burckhardt coincida di molto con quella sensazione di rinnovamento e rinascenza, già presente negli stessi protagonisti di quella fase storica.

La Civiltà è, parafrasando un’espressione cinematografica, un saggio di ferro, blindato; una formula “narrativa” di immediato e durevole successo che del Rinascimento costruisce un’immagine mitica, adatta dunque a rimanere impressa: la “vulgata” cui si alludeva sopra.
L’uomo contemporaneo, così come l’uomo dell’epoca di Burckhardt è fortemente suggestionato dalla favola, ma nell’Ottocento, a differenze di quanto non accada nel XXI secolo, questa innata e generica tendenza umana influenza anche il metodo scientifico.
Nel caso particolare della Civiltà questo aspetto si mostra tanto più vero in quanto è lo stesso Rinascimento che va soggetto ad una profonda opera di revisione da parte dell’Idealismo, il cui protagonista è proprio uno dei maestri di Burckhardt, Jules Michelet, che già dal 1841 proponeva una lettura in chiave vichiana del fenomeno rinascimentale italiano. E del resto è proprio fino ai primi decenni del 1800 che viene elaborata una forma artistica e culturale neoclassica “moderna” in cui gioca un ruolo fondamentale la lettura rinascimentale del mondo greco-romano.
Di contro, la visione del mondo medievale è così complessa ed allegorica che l’osservatore ottocentesco, (ma anche quello contemporaneo), ha una maggiore difficoltà ad entrarvi nel profondo. Si direbbe a tal proposito che il linguaggio rinascimentale – al di là di una soglia interpretativa molto elaborata ma sempre tutta intellettuale – si collochi ad un livello semantico pari a zero, di gran lunga più immediato della visione allegorica del mondo medievale. Il che vale a dire più prosaicamente che la potenza di Michelangelo è una suggestione ben più plateale della delicatezza simbolica di un’icona. Dunque il successo della visione burckhardtiana è anche in parte interno all’argomento trattato.

LA FORZA DELLE DEFINIZIONI

Ma accantoniamo i problemi legati alla forma-saggio e cerchiamo di vedere brevemente quello che per Burckhardt è l’aspetto essenziale del Rinascimento italiano.
In aria idealistica la chiave centrale per leggere Quattro e Cinquecento italiano è appunto il problema del risveglio dell’individualismo. La parabola teorica di Burckhardt è semplicissima: dimostrata attraverso l’interpretazione delle fonti la rinnovata coscienza di sé dell’uomo rinascimentale, egli sviscera una ad una tutte le conseguenze di questo cambiamento che sta alla base dell’intera moderna società occidentale. Ogni ramo d’azione dell’individualismo viene analizzato con grande compattezza teorica, dove risultano soverchianti la quantità di esempi ed episodi presi a riprova.
Spicca poi fra tutte una formula teorica che rappresenta il simbolo stesso del pensiero burckhardtiano e che riassume, prima ed unica nella sua efficacia critica, uno degli aspetti più realistici ed interessanti della civiltà rinascimentale.
È la celebre definizione dello “stato come opera d’arte”. Potente ritornello specie nella prima parte del libro, declinato nei capitoli successivi ad altri contesti fra cui quello felicissimo della “vita come opera d’arte”: due paradigmi suggestivi e di grande efficacia, oltre che assolutamente fondati.
Ebbene, sembrerà curioso, ma nonostante le fortissime polemiche sorte da sempre sulla Civiltà è assolutamente indubbio che si tratti di concetti ancor oggi fondamentali per una corretta comprensione della weltanschauung rinascimentale.
Di più: l’apertura di molti rami dello studio contemporaneo sui secoli XV e XVI si deve proprio all’introduzione di questi concetti. È noto infatti che la tendenza generale degli studi odierni (specie nel campo delle discipline più recenti, come la Storia del Teatro) tenda ad affrontare i fenomeni legati alla rinascenza soprattutto sotto il profilo della storia delle culture e delle civiltà.
Senza Burckhardt sarebbero impossibili ad esempio gli studi di Fabrizio Cruciani sullo spazio teatrale; le ipotesi di Jean Jacquot sulle feste aristocratiche; l’immagine di Don Giovanni de’ Medici esposta da Siro Ferrone.
Sebbene allora il teatro del Rinascimento sia un fenomeno sottovalutato ed in parte male interpretato dalla Civiltà, rimane il fatto che il metodo con il quale lo storico del teatro di oggi si occupa della propria materia è molto simile a quello di Burckhardt. Un fatto che non vale soltanto per questa branca degli studi umanistici.
A scorrere poi i titoli dei paragrafi del libro si potrebbe quasi dire che le tematiche proposte esauriscano tutte le discipline e gli ambiti di interesse anche odierni: si va dalla trattatistica comportamentale, al teatro e le feste, dalla letteratura alla storia della civiltà e della cultura. Si può affermare allora che Burckhardt contenga in nuce indirizzi e direttrici tipici degli studi attuali sul Rinascimento.

BURCKHARDT. PERCHÉ.

Torniamo dunque al semplice perché con cui si è aperta questa breve trattazione. Ad esso ci sembra di aver risposto sottolineando come il fluviale saggio di Burckhardt abbia posto e ponga al lettore contemporaneo innanzi tutto un problema storiografico, del quale è necessario essere al corrente poiché non ancora del tutto risolto (e comunque sempre in virtù del principio sacro di Edward Carr secondo il quale “prima di studiare i fatti bisogna studiare lo storico che li espone”).
In seconda istanza perché la Civiltà costituisce la base della riflessione contemporanea sul Rinascimento ed è allo stesso tempo il fondamento dell’immagine (diffusissima) che vuole il 1500 come una vera e propria età aurea delle arti e delle scienze, contrapposta al medioevo della barbarie.
Non va poi sottovalutato quanto la varietà del percorso tracciato dallo studioso di Basilea abbia composto un serbatoio di fonti ed una mappatura fondamentale per chi voglia seguire un ulteriore percorso di approfondimento critico.
Infine, il lettore moderno dovrebbe avvicinarsi a La civiltà del Rinascimento in Italia come si avvicinerebbe ad un romanzo: perché lo scritto del Burckhardt è soprattutto una storia avvincente e curiosa del XVI secolo.

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