Altri giorni felici

scritto venerdì 6 ottobre 2006 alle 10:56

claudio remondiFra le pieghe di una bianca placenta scivola la presenza eterea di un embrione. Allo sguardo si apre una sedia gestatoria, o trono in acciaio, sul quale siede un vecchio.
Remondi & Caporossi presentano così gli “Altri giorni felici” del passato, trasformando la propria estetica presente nel bilancio di trentacinque lunghi anni all’inseguimento di un teatro ineffabile, delicato, visivo, visionario e sempre fuori dagli schemi.
Di bilancio artistico si tratta fin dalla scelta del titolo, a richiamare quei “Giorni felici”, la cui rappresentazione è stata più volte proibita alla coppia di artisti dagli eredi di Beckett. Una triste vicenda per la coppia la cui formazione è “geneticamente” legata all’immaginario del drammaturgo irlandese. Ecco allora la reazione, portata avanti con bellicosi comunicati stampa e poi sfociata in un testo originale nel quale Claudio Remondi, fra visioni surrealiste e chapliniane, disarticola, scompone e impagina episodi della sua vita privata. Dalla madre agli amici al teatro. Uomini e donne si manifestano nel bianco abbagliante della scena, congelati in forma di chiavi. Chiavi sepolte, riordinate, confuse, mescolate e dimenticate. Chiavi della memoria.
Della Winnie beckettiana resta l’immobilità volontaria, la coscienza di un fallimento totale, che sfocia talvolta in atto d’accusa contro l’establishment teatrale. Ma non c’è né nostalgia né resa. Sul trespolo Claudio Remondi affronta a muso duro un testo commosso, difficile, sofferto, con la consapevolezza di non fare letteratura ed armato dalla ferrea volontà di ricavare qualcosa dalla sua memoria d’attore. Trentacinque anni di memoria. Auguri a questi oltranzisti della ricerca italiana.

Visto a Franscati, scuderie Aldobrandini, settembre 2005

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