Caligola di fronte allo specchio

scritto venerdì 8 dicembre 2006 alle 03:56

Un semicerchio di specchi porta in scena gli spettatori, li costringe a guardare la loro alterità. Succede in questo “Caligola” di Albert Camus, rovesciato, scomposto e ricucito sul palcoscenico del teatro Argot dal regista-attore Roberto Latini.
Una scena piena solo dei riflessi degli specchi è appunto lo scenario “drastico”, con cui il giovane regista romano ha trasformato questo testo del ‘45, in fertile terreno per far fermentare la sua particolare cifra stilistica. Passando per frammenti ed ellissi, il monologo percorre così un freddo universo rifrangente, che si fa di volta in volta trono, porta, palazzo, foresta, assenza.
E’ un Caligola che smette di trovasi di fronte alla morale in cui lo costringeva Camus, e la cui tragedia si distilla in quattro atti ripercorsi al contrario, dalla morte, alla disperazione.
Perché nell’ottica di Latini la disperazione viene solo dopo la morte, e in un aldilà vago e disperato, un nulla riempito solo dal destino e (quindi) dalla tragedia. Il potere e la solitudine vengono così isolati e descritti da una presenza scenica astratta, che si rende immediatamente valore portante di tutto lo spettacolo, elemento di determinazione estetica, prima ancora che il testo.
Ma la ricerca sembra aver già fissato la sua novità, e le forme che già appartenevano ad “Essere e non” o agli esperimenti de “Il formichiere” e “Howie the Rookie”, sembrano stemperati in un’iterazione interrotta solo dai capitoli più spiccatamente metateatrali ed ironici, intitolati “recita di Caligola” e “divinità di Caligola”, in cui emergono le straordinari doti del one-man-standing, fino al delirio dei botta-risposta con immaginari congiurati, passi la cui forza sta nella coesione puramente visiva di corpo e linguaggio.
Visto in gennaio 2002

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