il ferro e il cemento di Roma [parte I]

scritto mercoledì 5 maggio 2010 alle 09:43

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Un recente articolo su Italia 2013 intitolato “Roma perde il treno” e firmato da Riccardo Pennisi, è simbolico per ricostruire certo ottuso atteggiamento della sinistra moderata italiana, convinta (Italia 2010) con ostinazione di star sempre dalla parte della ragione.
La tesi, esposta per punti elenco (mi sembra sia la cifra distintiva del blog), sarebbe che la famosa “Cura del Ferro”, annunciata da Walter Veltroni, stia subendo una drammatica battuta d’arresto sotto la giunta Alemanno.
Da quanto si evince dall’articolo di Pennisi sembrerebbe che il piano regolatore del 2008 – è bene ricordarlo, approvato dalla giunta Veltroni a porte chiuse – sia il meglio che Roma potesse meritare in termini di mobilità e razionalizzazione dello spazio urbano.
Naturalmente non è così, giacché il piano regolatore del 2008 e più in generale la gestione quindicennale della capitale da parte del centrosinistra, sono stati un veleno per una vita cittadina tutta riassumibile nella formula del “panem et circenses”.
Grandi eventi per le strade (strumenti anch’essi, peraltro, di spartizione delle prebende) e dietro le quinte la divisione dei pani e dei pesci, delle cariche, dei privilegi e del denaro.
Sotto la giunta Veltroni ha preso forma il progetto delle centralità per quello che s’è dimostrato essere nella realtà. Sulla carta idea necessaria, in quanto prevedeva la ridistribuzione del carico urbanistico amministrativo su più aree della periferia cittadina, creando centri autonomi di vivibilità.
Ma a colpi di varianti ed accordi di programma la verità è che in queste centralità s’è costruito troppo e senza regole, cosicché il calcestruzzo oltre che molto spesso orribile a vedersi è andato a gravare sul traffico dalla periferia al centro. Le centralità sono sorte riempiendo aree spesso vincolate ed i centri amministrativi ed i servizi sono rimasti dove stavano prima.
Secondo le stime, il piano approvato nel 2008 – proprio il giorno prima della candidatura di Veltroni alla segreteria nazionale del partito che oggi « merita rispetto » – prevede ben 70 milioni di metri cubi di edilizia residenziale in più in dieci anni.
Un carico insostenibile per la città, che proprio sotto le giunte di centrosinistra ha adottato la politica del laisser faire, che nella pratica si è tradotta in centri commerciali, palazzine e fiere; a dire, nella delega diretta della pianificazione urbanistica ai privati, e cioè ai vari Toti, Caltagirone, Cerroni, Bonifaci, Scarpellini, Ligresti, Parnasi, mediante l’applicazione di strumenti normativi straordinari riconvertiti ad uso ordinario, come l’accordo di programma.
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È il caso dell’area della Bufalotta dove i fratelli Toti e Gaetano Caltagirone hanno realizzato un intero quartiere privo di servizi, che oggi pesa come un macigno sulla mobilità della via Salaria e Nomentana. Le cifre sono spaventose: 2.750.000 metri cubi di case, 5.000 in più rispetto a quelle inizialmente previste.
Oppure è il caso del centro commerciale Roma Est, per il quale è stato costruito un intero svincolo autostradale quando gli abitanti delle zone limitrofe, del comune di Guidonia Montecelio e di Lunghezza attendevano da vent’anni (ed in realtà ancora attendono) una soluzione alla difficile mobilità dell’area Tiburtina.
E poi la nuova Fiera di Roma. 300 ettari per 3milioni di metri cubi alle porte di Roma, messa al posto di un’area prima destinata agli hub commerciali di un autoporto, il cui scopo era quello di impedire ai mezzi pesanti l’ingresso all’interno della cintura del GRA.
Basta leggere uno stralcio dell’intervista rilasciata nel 2008 a Paolo Mondani di Report, dal prof. Paolo Berdini, Docente di Urbanistica dell’università di Tor Vergata, per capire come e a vantaggio di chi sia cambiata la destinazione d’uso dell’area che si trova a fianco della Roma-Civitavecchia: « in questa zona […] arrivavano i tir e poi cambiavano le merci con i piccoli vettori verso la città di Roma. Da allora il destino dell’area è diventato travolgente; […] a cavallo delle due giunte, di Francesco Rutelli e di Walter Veltroni, attraverso accordi di programma, il gruppo Lamaro » ottiene dal comune « di fare qui la Fiera di Roma […] con una plusvalenza che lascio immaginare.»

In questo meccanismo perverso e criminale la metropolitana è stata una specie di moneta di scambio fra comune e palazzinari, come vengono chiamati a Roma, per cui ad esempio i costruttori della Bufalotta per un milione di metri cubi di residenziale in più offrono al comune di Roma 80 milioni di euro per la nuova metropolitana B1, che però si stima costerà alla collettività 600milioni di euro. Oppure Lamaro Appalti, che per la LUISS di viale Romania stanzia 8milioni di euro al Comune di Roma per non aver garantito gli standard di verde e servizi previsti per legge, incassando profitti forse dieci volte più alti.
E c’è il caso della centralità dell’Anagnina/Romanina: dai 750mila metri cubi previsti nel 2003, si è arrivati a colpi di condoni ed accordi col comune ad oltre 1milione, fino alla proposta finale del costruttore Scarpellini che con 50milioni di contributo alla costruzione della metropolitana, chiede di mettere su altri 670mila metri cubi di cemento in quella zona.
Leggiamo le conclusioni di Paolo Mondani: a « Scarpellini costruire a Romanina frutterà 420 milioni di euro di guadagno netto. Se il Comune gli consentirà di realizzare 670 mila metri cubi in più il netto salirà di altri 250 milioni. In cambio di questa fortuna Scarpellini promette solo 50 milioni di euro al Comune per realizzare il prolungamento della metropolitana da Anagnina a Romanina che costerà, dicono in tecnici, 350milioni e che se realizzata farà lievitare ancora il valore dell’area».
Eccola la “Cura del Ferro”.
Per mantenere lo squallido e demagogico parallelo medico Veltroniano è come se Roma fosse un grande corpo malato, le cui cure necessarie non vengano prescritte da un medico, ma da un informatore scientifico nell’interesse della ditta farmacologica che egli rappresenta.
I tracciati delle metropolitane vengono pianificati dai costruttori, i quali con un piccolo contributo realizzano plusavalenze da capogiro. Doppie addirittura, perché da una parte il valore dei nuovi immobili aumenta e dall’altra per via delle concessioni a cascata e degli aumenti dei volumi residenziali, viene lasciato poco o nessuno spazio all’edilizia senza profitti, quella civile.

Collegamento all’istruttivo servizio di report

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4 risposte a “il ferro e il cemento di Roma [parte I]”

  1. Riccardo Pennisi scrive:

    Vi ringrazio per la citazione in questo post, che tuttavia non condivido. Due prolungamenti negoziati coi costruttori infatti non impediscono di considerare la “cura del ferro” come necessaria per dotare la città di una rete di trasporto pubblico su ferro migliore.

    La cura del ferro è costruire la metro C, la D e l’anello ferroviario: anche questo obiettivo minimo rischia di sparire con la giunta Alemanno. Questo più o meno il contenuto del mio articolo. Se poi il Comune mette all’asta i prolungamenti per un piatto di lenticchie è un altro discorso, ma non si può invalidare tutto per questo.

    Comunque, non ho espresso nessun giudizio favorevole sulle politiche urbanistiche delle giunte di centrosinistra – ci mancherebbe altro! – (secondo me legate soprattutto agli ultimi tre-quattro anni di giunta Veltroni). Anzi, le abbiamo spesso sottolineate e criticate sul blog Italia2013.

    Proprio ieri quest’analisi delle politiche sociali: http://italia2013.wordpress.com/2010/05/05/riflessioni-su-roma-occasioni-mancate-la-nostra-recensione/

    Riccardo

  2. artMobbing scrive:

    All’attuale giunta non va certo la mia simpatia.
    Ciò che contesto e che potrai leggere nella seconda parte dell’articolo è la visione metropolitana-cura-di-tutti-i-mali.
    A Roma serve una cura del ferro, certo, ma leggera: il tramway.
    Da combinare, ad una strategia coraggiosa di immediata guerra al traffico su gomma. Guerra da condursi sull’esempio di Parigi, a colpi di piste ciclabili, potenziamento del trasporto di superfice, e riduzione delle carreggiate in favore delle preferenziali.
    Quante sono le risorse male sfruttate, ad esempio?
    Pensiamo solo al fatto che nel sistema di trasporto integrato romano il trasporto ferroviario interno (la ferrovia leggera) è una cosa e quello urbano (l’atac) è un’altra.
    Basta tentare il calcolo del percorso con i portali disponibili per rendersi conto facilmente che fs non dialoca con ATAC e viceversa.
    Si proceda subito col potenziamento immediato del servizio pubblico preesistente, senza i magheggi e i subappalti che si sono visti in questi anni.
    Perchè il trasporto pubblico è ormai emergenza.
    E perchè nel trasporto pubblico sta la chiave della LIBERTA’ dei cittadini.
    La vitalità di Parigi e Londra sta tutta qui: nella facilità di accesso al centro per tutti.
    Nella possibilità di mobilità quasi elementare, naturale, fisiologica.
    A Roma il centro è un porcaio di turisti rutilanti ed ubriachi.
    Gli unici che si possono permettere una passeggiata in centro.
    Tutti gli altri a casa, con una metro A per anni chiusa dalle 21:30 perchè si scavava per una metro C che ancora non ha visto la luce.

    La metropolitana ha enormi costi di realizzazione, in termini monetari e temporali.
    Basti pensare alle linee attualmente in fase di studio e costruzione.
    La linea C nella sua interezza verrà consegnata nel 2018.
    La linea B1 nel 2012 (7 anni per 5 fermate).
    La linea D nel 2020 (nella più rosea delle previsioni).
    E non dimentichiamo che i lavori di studio, e sondaggio e costruzione d’una nuova tratta sono un capestro per la circolazione.
    Per anni le strade rimangono bloccate da cantieri immobili o quasi: deviazioni del traffico. Manto stradale più volte distrutto e ricostruito.

    La veltroniana “cura del ferro” è demagogica perchè mentre fa leva sull’immagine di rapidità ed efficienza che da sempre il trasporto sotterraneo stimola nelle immaginazioni urbane, dall’altra non si cura delle strategie realmente importanti nella pianificazione della mobilità.
    Ciò che conta di più non è la capacità del mio trasporto urbano di vomitare gente nel centro, quanto l’ottimizzazione dei flussi.
    Creare occupazione in periferia.
    Creare servizi in periferia.
    Creare vivibilità in periferia.
    Connettere le cattedrali nel deserto al resto del tessuto cittadino.
    Costruire ove manca il respiro per il calcestruzzo che blocca il vento marino.
    Senza una pianificazione urbana coerente una città implode anche con 29 linee della metropolitana.
    Non siamo provinciali.
    Non facciamo come quello che torna da Londra e dice: quante metropolitane.
    Che labirinti!
    Che efficienza!

  3. …mah… sto a Roma dal 1967 e ho sentito parlare della cura del ferro più o meno da 30 anni (invece del ferro contro gomma, da 40)… chi guarda a Parigi e a Londra (meno male che non guarda a Berlino sennò ci dovremmo tutti sparare!) fa bene, ma deve sapere che è un sogno…
    cura del ferro? i tram che si scontrano e che uccidono a Porta Maggiore? (perché non sanno organizzare una rotatoria etc.) i tram che hanno il capolinea davanti al Teatro Argentina? (che se l’avessero fatto gli “altri” sarebbe ancora oggi un tema di battaglia contro la… nera ignoranza barbara) il Prg veltroniano? e le operazioni rutelliane? Caltagirone semper vincit…
    il decentramento? che l’unica cosa realmente decentrata è la Pisana e quegli stessi che plaudono al decentramento si lamentano in privato (perché proprio noi che siamo la Regione dobbiamo stare in periferia?)… e chi ci va alla Pisana? ricordo uno studio che raccoglieva tutti gli immobili di proprietà della Regione (locati a costi di favore, mentre la Regione paga ricchi affitti per gli immobili usati…)per esempio a piazza San Silvestro e dintorni ci sono enormi proprietà della Regione…
    stiamo parlando di tecnici che fanno come il jukebox (metti la moneta e cantano la canzone che vuoi), di pubblici amministratori che hanno un alto tasso… privato, di grandi raccordi anulari che si costruiscono quando ormai i confini della città si sono spostati, di stazioni ferroviarie che non vengono usate (perché tutti i giorni lavorativi mezzo milione di pendolari deve sbarcare a Termini?) mentre aspetti il treno proveniente da Venezia senti gli annunci di treni che arrivano da Velletri, da Cassino… che si aspetta? che i mosaici fascisti spariscano e dopo usare al meglio la stazione Ostiense?… la polemica mi piace ma questa “urbanistica” è sterile più di tutte… lo stesso Alemanno non potrà incidere su scelte che si fanno là dove si puote ciò che si vuole… e più non dimandare

  4. artMobbing scrive:

    @Giuseppe.
    Una rivoluzione del trasporto pubblico non è impossibile. Ma sarà realizzabile solo dopo quella della pubblica amministrazione e del sistema politico.
    In pubblica amministrazione v’è un problema che non riguarda solo il trasporto pubblico: l’impossibilità di realizzare una progettualità estesa nel tempo.
    Le cariche dirigenziali sono affidate per lo più ad incompetenti, (un impiegato pubblico può fare il dirigente all’INPS e qualche tempo dopo andare al ministero dei Beni Culturali… l’ambito di specializzazione è secondario) che si limitano a realizzare i sogni di gloria del superiore di turno, cui invece la carica è affidata dalla politica.
    Dunque nessuna progettualità a lungo termine, in quanto il DG di turno demolisce ogni volta le strategie impostate dal suo predecessore.
    Se per esempio Pinco progetta la giornata romana della fava e del pecorino, quando Pallino sostituirà Pinco, sconfitto alle elezioni comunali, la fiera romana della fava e del pecorino lascerà posto a quella per la bicicletta ed il cestino.
    La politica ci mette del suo: lo apprenderemo quando scopriremo che Pinco incoraggiava la fava ed il pecorino perchè il cugino produce fave e l’amico del cognato ha un caseificio pecorino.Pallino, dell’opposto schieramento, non è da meno. Ma almeno, dicono i suoi sostenitori, il cognato ed il cugino produrrebbero prodotti ecologici.

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