il sessantotto da uno che nOn c’era [III]

scritto martedì 18 marzo 2008 alle 22:41

vagabondo del dharma - photoright artmobbing
E c’è anche il mito della strada, nel racconto appassionato di Giuseppe Spezzaferro sul Sessantotto.
Un mito che tocca le corde profonde delle ambiguità che si celano dietro alla stagione della fantasia al potere.
Sulla strada: il sacco a pelo e la motocicletta verso il tramonto, a seguire la nuova conquista del WEST. Vagabondi del Dharma o Easy Riders. La nuova generazione della protesta viene uccisa dall’america bigotta nella fine memorabile del manifesto cinematografico della Beat Generation. Ma inconsapevolmente quella generazione ripeteva il rito dei padri, il rito della conquista (stavolta culturale) dell’altra costa. Il rito della CONQUISTA di tutto ciò che apparteneva a quelle terre.
Se gli indiani erano stati sterminati a colpi di epidemie ed alcoolismo ora il giovane americano emulava il misticismo e la spiritualità di quei popoli, trasformandoli nei giocattoli colorati delle allucinazioni lisergiche e della creatività “sotto effetto”.
Il viaggio spirituale e mentale, il viaggio fisico. Eccoli lì, come possibilità imprevista e del tutto nuova.
Ecco la scoperta dell’India e dei nuovi esotismi.
Un rito di espiazione collettiva in cui il mondo della tecnica e del fucile, l’Occidente, simulava la sua apertura, inglobando e commercializzando nell’etnica antropologica il senso profondo di quelle spiritualità “altre”.
Con questo non si vuole sostenere che la CORSA all’ovest (che in Europa si tradusse con la corsa ad oriente) non fu un risveglio, ma che solo i segni epidermici di quelle culture che si scoprivano allora potevano essere assimilati da un sistema che gli era e gli rimane opposto per interessi e stili di vita.
Uno degli atteggiamenti più paradossali della società dell’informazione veniva allora a galla, e prendiamo in prestito le parole da Marcuse per capire di cosa si tratta:
«Il mutamento di ampia portata in tutti i nostri abiti di pensiero» è più serio. Esso serve a coordinare idee e scopi con quelli che il sistema dominante esige, a inserirli nel sistema, e a respingere quelli che sono irreconciliabili con esso. L’avvento di tale realtà a una sola dimensione non significa peraltro che il materialismo regni, e che le attività spirituali, metafisiche e bohémiennes stiano svanendo. Al contrario, v’è una profusione di «preghiamo insieme questa settimana», «Perché non provare Dio», di Zen, di esistenzialismo, di Giovani arrabbiati, ecc. Ma tali forme di protesta e di trascendenza non […] hanno più carattere negativo. Esse sono piuttosto la parte cerimoniale del comportamentismo pratico, la sua negazione innocua, e sono prontamente assimilate dallo status quo come parte della sua dieta igienica.
Su questi valori culturali la visione del gruppo del Teatro sembra che non fosse differente dalle altre, se non nelle soluzioni: il popolo indiano (mitizzato forse in virtù del medesimo principio di assimilazione ideologica, per cui il più importante dei miti bohémien degli stati uniti, la beat generation, cannibalizzò le culture indigene del peyotl e della mescalina) si disgregò per la mancanza di un principio unificatore. Per la mancanza cioè di un capo militare e spirituale.
Il primato (culturale e cronologico) della Chiesa di Roma ed il primato (contingente e politico) degli Stati Uniti si spiegherebbero proprio col fatto che sono le uniche potenze in ad avere trovato una via attuale al fuhrerprinzip.
Ma se da una parte il sistema del principe-capo negli stati Uniti non ha nulla a che vedere con la spiritualità, dall’altra parte la Chiesa non potrebbe, oggi, per la sua natura dottrinale, consentire un adeguato e coerente sviluppo scientifico e tecnologico.
Poniamoci una domanda: come è possibile pensare ad una compatibilità fra democrazie dirette e principio di sovranità assoluta nel contesto della civiltà dell’informazione?
Purtroppo tale combinazione non evoca in noi che panorami di memoria orweliana.
La Chiesa Apostolica Romana detiene il primato dell’organizzazione. Mentre invece ogni moschea è un Islam: ma il primato della mezza luna resta sempre la coesione intorno al più spirituale dei capi, benché morto: Maometto.
La discendenza dal profeta è un galvanizzante fondamentale che fa accettare al credente il sacrificio totale della propria persona per una dimensione più alta di quella terrena.
Tale coesione è sconosciuta all’Occidente, che la ha sostituita con la tecnica.
Un sistema di sviluppo Occidentale è dunque impossibile senza la tecnica.
Ma, visto che la via al misticismo e quella alla tecnica sono incompatibili, dobbiamo forse rinunciare ad un Occidente spirituale?

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una risposta a “il sessantotto da uno che nOn c’era [III]”

  1. marco scrive:

    Un discorso fatto da un uomo ricco e potente di quella generazione. Sembra oggi incredibile, ma anche quello è stato il 68 che (per chi ci ha creduto) ha fatto nascere sogni e aspettative ahimè travolte successivamente… da pallottole prima e globalizzazione poi.

    “Non troveremo mai un fine per la nazione, né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.
    Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo (PIL).
    Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e della pubblicità sulle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana.
    Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza, per vendere prodotti violenti ai nostri bambini.
    Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

    Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della nostra educazione o della gioia dei loro momenti di svago.
    Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere.
    Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.
    Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
    Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere Americani.”

    Robert Kennedy 18-03-1968

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