l’ambiente? una sfida industriale (fine)

scritto mercoledì 18 febbraio 2009 alle 10:10

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La tecnologia è conoscenza conseguenziale. Quindi consecutiva. Quindi assoluta ed unidirezionale.
La tecnologia non si sazia: essa pone domande sempre nuove alla conoscenza scientifica che la serve. Ma è solo un’illusione pensare che tali domande esistano a priori, perché esse sono generate dal processo stesso di avanzamento del Logos.
Con il sapere scientifico e la tecnologia ci saranno sempre domande. Ed ogni risposta sarà funzionale alla formazione del sistema e alle domande che costituiscono la base della scoperta di nuovi principi di SOSTEGNO.

Quale sarebbe allora la soluzione tecnologica per l’ambiente?
Reversibilità ed annullamento dell’impatto sul clima.
Ogni emissione reversibile e riassorbibile. Più la tecnologia sarà reversibile, più essa diventerà irrinunciabile ed invisibile.
Più la tecnologia sarà invisibile più essa inciderà nella Kultur, nella formazione spirituale dell’uomo, convertito in macchina cui sia necessario il sostegno.
Ma l’uomo non era di per sé sostenibile, prima dell’era industriale?

Immaginiamo per un istante un mondo in cui ogni mezzo tecnologico possa essere impiegato senza danneggiare l’ambiente. L’impatto ambientale pari a zero, la tecnologia avrebbe un effetto concreto e totale solo sulle nostre coscienze, annullando ogni limite alla sua applicazione in ogni area ed attività umana.
Una tecnologia completamente solidale con “l’environnement” ne è il superamento e rappresenta la rinuncia totale alla dipendenza dall’ecosistema.

In un mondo a fusione fredda, ove l’energia sia pressoché inesauribile chi si preoccuperebbe del suo uso?
In un mondo dalle risorse perpetuamente rinnovabili chi si preoccuperebbe dello spreco?

In un mondo in cui la biotecnologia possa essere una risposta affidabile alla lotta contro la fame e con modalità del tutto ecocompatibili sarà ancora possibile porre una questione etica su senso e i modi del consumo?
Esisterebbe ancora, in questo mondo futuribile, il senso di vulnerabilità dell’uomo rispetto all’assoluto?
Non è forse questa nuova sfida tecnologica l’ennesimo tentativo di sostituire il Logos ad ogni aspetto della vita dell’individuo?

Sogniamo assieme questo mondo e vediamo che in esso non esistono più limiti all’operato della tecnologia: se l’inquinamento ed il danneggiamento diretto dell’ecosistema sono oggi freni potenti per la crescita e lo sviluppo, dove vorranno arrivare, infine, una crescita ed uno sviluppo ad impatto ambientale zero?

Far considerare l’ambiente come una sfida industriale è un astuto depistaggio della domanda più importante: se sia cioé lecito fare della velocità e della delocalizzazione le chiavi di volta della civiltà del futuro.

Se un’autovettura viaggiando alla velocità di 280 km/h consuma troppo dobbiamo chiederci come ridurne i consumi con complessi apparati meccanici, oppure dobbiamo interrogarci sulla effettiva necessità di viaggiare da Roma a Milano in due ore?
La domanda è tutta qui.
Questo sistema globale che vive all’istante e che non sa più misurarsi con la sua memoria analogica, complessa, multidirezionale, associativa, rappresenta davvero un avanzamento rispetto al passato?
Cosa ci impedisce di pensare che le società della lentezza, in cui fini e scopi dell’essere umano sono legati a ritmi stagionali ed in cui i sistemi di valori tradizionali sono finalizzati in sé allo sviluppo organico con la natura, abbiano un valore aggiunto rispetto alla fatuità dei nostri consumi?
La crescita individuale ritardata che oggi l’individuo esperisce nelle nostre società si deve in larga parte alla specializzazione dei saperi per i quali è necessario un maggiore periodo di apprendistato.
Ma il sapere specifico non è sapienza, che al contrario è sapere universale.
Ciò significa che il ritardo dello sviluppo individuale, nella formazione della famiglia, ad esempio, è strumentale alla tecnologia, non all’uomo, che “au contraire” perde sempre di più le proprie conoscenze per sostituirle con nozioni che servono ad esaudire precisi scopi e direzioni tecnologiche ed ad inserirlo nella società come funzione e tassello di una macchina produttiva.
Le civiltà del passato davano maggiore valore alla sapienza, che si componeva innanzi tutto di un sistema etico, volto alla conservazione della specie in senso naturale, davvero ecocompatibile.
Era questo il ruolo della memoria analogica e della formazione etica e sociale.

A Belleville per la strada qualcuno ha scritto “on ne peut pas tomber amoureux d’un taux de croissance”: il pericolo primario delle nuove ideologie del progresso non è la possibilità di distruggere o meno l’ecosistema, perché – lo abbiamo visto – tale questione è fortemente relativa da un punto di vista non antropocentrico (e cioé da un punto di vista puramente biologico) e soprattutto perché la tecnologia sarà in grado di risolvere ogni sfida ambientale se in essa si dovrà decidere della propria autonomia e sopravvivenza.
Il pericolo primario del mondo che ci stiamo costruendo intorno è la deformazione della coscienza e l’abbandono degli antichi sistemi etici, per una esistenza tutta declinata al futuro ed alla velocità.
Bisogna chiedersi se valga davero la pena di costruire i mezzi adeguati al mantenimento di un modo che vuole rinunciare completamente all’ecosistema ed all’etica del risparmio ad esso connessa, per consentire lo sviluppo di una nuova natura ibrida, mezza uomo e mezza macchina, in cui anche il pensiero sia conforme alla rapidità ed alle ambizioni della logica, capace di abbandonare il pianeta, ed essere così ovunque per scoprire di non essere da nessuna parte.
Di non essere più uomo.

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