archivio per dicembre, 2006

Raffinato e pacchiano l’impero cinese a Roma

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 cina nascita di un impero

Roma – Sono già stati spesi diversi ettolitri di inchiostro per la mostra alle Scuderie del Quirinale, “Cina. Nascita di un impero”. Non si sentiva il bisogno dunque di riparlarne qui, ma lo faremo lo stesso, dal momento che è previsto un prolungamento dell’evento oltre la data del 28 gennaio. Ma l’occasione è ghiotta anche per verificare gli ossequiosi complimenti rivolti dalla stampa nostrana al maestro Luca Ronconi, che, come è noto, ha curato le “scenografie” dell’evento. La pregevole collezione assemblata per l’occasione e la raffinatezza dei pezzi presentati, contrastano purtroppo con il falso minimale ostentato nell’allestimento.
Hanno fatto un certo scalpore le reti; invisibili diaframmi di fronte alle opere, i soli a separarle – al posto del tradizionale vetro – dallo sguardo: apprezzabile, funzionale, bello, originale. Quello che resta inspiegabile è la quasi totale assenza di pannelli descrittivi associati ai singoli reperti, (dobbiamo finalmente affittare anche noi le audioguide?) ma soprattutto i brutti ghirigori “falsocinese” (o, se preferite, cinese da bancarella) che cingono oscenamente i pannelli specchiati alle spalle delle statue di terracotta.
Certo, il percorso espositivo rimane meritevole di una visita: la mostra comprende 320 reperti, alcuni dei quali mai usciti finora dalla Cina o per la prima volta in Italia, come i bronzi rinvenuti nel tumulo del semisconosciuto Marchese Yi di Zeng (433 a.C.). Notevoli fra questi i tre portatamburo zoomorfi, in cui la delicatezza e complessità delle linee fa pensare al nostro Rinascimento e al Barocco, non foss’altro che le opere risalgono al 400 a.C. circa.
Incredibile per abilità artigianale e tecnica di lavorazione il vestito in giada di epoca Han, che veniva fatto calzare alle salme dei notabili, nella convinzione che la pietra avesse poteri conservativi sulle salme. Ma ancora una volta la bellezza del reperto stride con l’allestimento: infilata ad un manichino che sembra un robot uscito dalla fantasia di un cineasta anni ’50, la singolare veste prende tinte inquietanti, e diviene una specie di immagine incubo.
Impossibile non parlare infine del famosissimo esercito in terracotta: diversi i pezzi esposti, la cui fattura e sintesi estrema del dettaglio sono davvero uniche.
Si tratta di un’armata imponente di migliaia di guerrieri, cavalli, carri da combattimento, a grandezza naturale, rinvenuti nei pressi del mausoleo inviolato di Lintong (Xi’an, Shaanxi).
Notevoli anche i corredi funerari del primo imperatore Han (Gaodi, 206-195 a.C.) e del quarto (Jingdi, 157-141 a.C.). Sono 160 statuette alte fino a 70 cm: fanti, cavalli, cavalieri, servitori, animali domestici, destinati ad accompagnare il regnante nell’aldilà e noi in quello delle ultime perplessità.
Innanzi tutto il prezzo di dieci euro, che, considerando anche l’afflusso, è troppo alto per l’esiguità dei pezzi esposti, sebbene si tratti del maggior numero di opere concesse all'estero dal governo cinese. E se è vero come è vero che l’Azienda Speciale Palaexpo è privata, bisogna anche considerare che essa ha ereditato un patrimonio ed un ruolo pubblici: è dunque intollerabile che non vengano accettati sconti per gli studenti, sebbene sia il caso di plaudire l’iniziativa di riduzione dietro presentazione del biglietto della metropolitana.
Ai consulenti scientifici chiederemmo invece il perché di un percorso organizzato con un criterio  cronologicamente ibrido: si inizia dagli esemplari più recenti al pianterreno e al piano superiore si ritorna indietro nel tempo “a singhiozzo”.
Vogliamo confondere i profani? O è ancora un tentativo di offrirci le audioguide?

Buchi e terre

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buchi e terre

Un mondo facilmente manipolabile è un mondo in cui l'informazione abbia perso la dimensione temporale.
Un mondo in cui la custodia del sapere sia demandata. Un mondo in cui la custodia delle informazioni, dell'arte e delle idee sia relegata a mera attualità. Nella perdita della coscienza del prima e del dopo. In una vita che non si storicizza più, in quanto cristallazzata al presente.
Nel 1984 Wiston lavora nella catena di montaggio della cultura.
Wiston è impiegato al Ministero della Verità. L'ente che per conto del Grande Fratello aggiorna il passato al presente.
Ogni previsione del Grande Fratello è vera perché il Ministero della Verità provvede ad adattare tutte le fonti di informazione del passato a quanto accade nel presente.
Se l'Oceania dovesse decidere di tradire l'Eurasia sua alleata, il lavoro di Winston sarebbe quello di carbonizzare tutti i giornali contenenti notizie sull'Eurasia trasformandola in un nemico di sempre del Partito e della Nazione.
Nella testa di Orwell il procedimento di carbonizzazione della carta (Fahrenheit 451?) assume le tinte assieme fosche e cliniche di un meccanismo perfetto ed implacabile. Una specie di posta pneumatica assedia la scrivania del protagonista, e nella mente l'uomo conserverà l'istinto alla ribellione attraverso il ricordo di una fotografia.
Solo attraverso la coscienza di una Verità al di fuori di quella del Partito è possibile una ribellione.
Nella testa di Orwell l'enorme palazzo della Verità è una scatola asettica sull'onda visionaria degli enormi grattacieli di Metropolis. Gli uomini vi lavorano inscatolati in loculi spiati da televisioni parlanti. E quando finalmente le alleanze di guerra cambiano, sono costretti ad ore ed ore di lavoro straoridnario per mandare al macero decenni di carta stampata e ricucirla nei brandelli della fragile storia presente.
George Orwell non conosceva la rete.
E non conosceva la distribuzione digitale delle informazioni.
In questo ormai inoltrato scorcio di secolo dell'informazione si fa un gran parlare del video, di mega, giga, terabite, di interfacce educative, di librerie digitali e condivisione del sapere.
In questo oramai inoltrato Natale 2006 il video monta sulla cresta dell'onda. E' finalmente giunto il momento in cui ciascuno potrà documentare dietro all'occhio meccanico la storia della sua vita.
Blow out.
O i riflessi del suo quotidiano.
In questo inoltrato…
apprendiamo che lo standard video sta cambiando ancora.
Pensavate di aver gettato abbastanza, quando avete disperso tutti gli atomi di ferro e silicio e quarzo e neon e plastica oh quanta plastica e alluminio e carbonio e silicio e ancora silicio e quante guerre faremo per questo silicio e teflon e gomma che componevano il vostro videoregistratore.
Avete pagato cento sesterzi in oro per queste ferraglie. E per le scatole nere che ci caricavate dentro.
Avete pensato.
E forse nel frattempo avete anche sfiorato l'obsolescenza dell'MD o del LaserDisc.
Avete comprato?
Allora comprate anche il blueray fiammante di Sony. Che vi costringerà a rinnovare ben presto il parco macchine della vostra DVDteca.
Obsolescenze su obsolescenze.
E fate attenzione: il formato vincente potrebbe essere un'altro (vero. però meno originale il nome HD DVD). Perché come per il betamax non sempre una mano lava l'altra. l'altra. l'altra.

times 17.3.84 discorso grantfrat africa malriportato rettificare

times 19.12.83 refusi previsionali pianotrienn quartoquarto 83 refusi verificare numero corrente

times 14.2.84 miniabb cioccolato malriportato rettificare

times 3.12.83 relaz ordinegiorno granfrat arcipiùsbuono rifer at nonpersone riscrivere totalm anteregistr sottoporre autsup

Ti ricordi?
La vita media di una pergamena egizia è di 4000 anni.
Il passaggio dal tattile al digitale è avvenuto
in appena un battito di ciglia.
La vita media di un CD è di 20 anni.
La vita media di un DVD è di 20 anni.
micron dura micron.
Ti ricordi di Guttemberg?
E di Baudrillard?
E della stampa a caratteri mobili, ti ricordi?
Ti ricordi? No?
Stava nei preferiti del tuo calcolatore
Di vent'anni fa.
Ti ricordi?
Era seppellito nelle tonnellate di spam.
Ti ricordi?
Registrato in beta o abbandonato nel nero plasticamistero del floppy.
La vita media di un libro in carta clorata è cento anni.
… non eravamo poi troppo affezionati alla memoria.
Ti ricordi?
La vita media di un Hard Disk è di 50 60 80 o 100 anni.
La vita media di un VHS è 30 anni.
Ma l'hai gettato troppo presto per verificarlo, vero?
Mentre
La vita
Media
Di un laserdisc
Non interessa a nessuno.
Ci hanno liquidato con un colpo di pistola.

Stasera il Ministero della Verità fa
gli straordinari.

détester le peuple pour en rire

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© Marc Enguerand

Il y a la cruauté. Et il y a la méchanceté.
La cruauté artaudienne nous étonne e frappe pour ouvrir la route d’une nouvelle perception de la réalité, qui peut se réaliser seulement dans l’extraordinaire de la scène théâtrale. L’espace magique.
Mais il s’agit de magie aussi quand on parle du travail de la couple Jérôme Deschamps – Macha Makeieff, qui nous propose au théâtre Chaillot de Paris jusqu’au 30 décembre, une sorte d’éloge de la méchanceté en trois épisodes inspirés par Les scènes populaires d’Henri Monnier. Dans le spectacle rien ne corresponde vraiment au travail du grand dessinateur et homme de théâtre, mais tous paraissent sortir de son imagination, les costumes étant pareils aux figures délicates et grotesques en même temps de l’univers populaire qu’on rencontre dans l’œuvre de Monnier et les gags semblants jaillir par ces images. C’est la façon de travailler qui plus ressemble à celle du créateur de Monsieur Prudhomme : dessiner avant de mettre en scène, partir de l’image pour recueillir les impressions rapides d’une humanité sanglante et ivrogne.
Il s’agit de trois petites pièces dans un espace qui souligne – avec esprit fantastique – un intérieur parisien, souvenir de XIXe siècle. Trois ambiances en une. Divisées comme dans un cabaret fantastique et tordu, par les intermèdes ironique-musicaux (humeur irrésistible), réalisés et joués par l’habile Catherine Gavrilovic et ses compagnons, Philippe Leygnac – joueur fantaisiste et mangeur de canapés – et Philippe Rouèche.
On voit défiler les personnages comme dans une fete de fous où la tragédie de l’injustice devient la raison d’un rire sauvage e méchant. D’abord la concierge et ses bavardages de petite vie, tous joués sur un accent naturellement stupide e provincial. Et après voilà la moquerie sur l'accent parisien, pas moins con bien que plus hautain. Bavardages d’un quotidien où la vie et la morte se mélangent dans des exécutions capitales vues comme des événements mondains. «Désolée pour hier mais je n’ai pas pu venir à l’exécution de votre mari… C’était réussi ? Faisait-il beau ?». XIXe siècle de fantaisie où les gestes de Napoléon sortent d’un univers clownesque qui fait rigoler pour sa stupidité. Et si cette stupidité fait rigoler, il est vrai aussi qu’elle inspire une rage incontrôlée, un cynisme pas loin de la haine amoureuse que les intellectuels de tous les temps ont senti pour un peuple bête, car émule – plutôt qu’antagoniste – d’une noblesse encore plus stupide. Mais l’humeur absolument française de la pièce et l’extraordinaire vis comica "slapstick" de Deschamps et Bolle Reddat, leurs papotages niais, leurs relations de victime et bourreau, nous emmènent dans la dimension du rire absolu en oubliant cette cruauté. Au moins jusqu’à la fin, quand une apoplexie abattra Madame Desjardins, la méchante et radine alcoolique… et finalement la mesquinerie de la vie populaire nous sera révélée.

diritto al cuore

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diritto al cuore

Nel cono nero
immobile – come – immobile
Dans la ville et ses étudiantes
Da evitare
I suoi corvi da ascoltare
Come allo Chaumont, sul colle
Dei suicidi.
State attenti, per favore
Perché un poeta del male
Il suo nero difficilmente sa cantare
Senza esibirsi
Dietro posa

O pausa

Faccio paura
Io nero
Faccio paura
E come Fante o qualche suo compagno
I'm considering in movin' to LA
Considero già
Una penna ed una scrivente
benché
le mie dita avvezze
a tasti più morbidi
Non svelerò il segreto
Di una agenda nera
O di un tweed retrò
Che la conservi
davanti al cuore
Per Clint e per Ramones
Per chi mi spari
Diritto al cuore

aorta fotografica

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rayometro - aorta fotografica

la mia macchina ha
un fotogramma perverso
che mi scava nel cuore
una ghiera girevole
che auscolta
la qualià della luce
e grave la rende o greve
la mia macchina ha
un rayometro
che spinge piano ai toni
grigi
che accende bianchi secchi
come morte
secchi
come

foglie
morte