archivio per aprile, 2007

Pétition pour le “theatre de verre” et la culture alternative à but non lucratif.

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théatre de verre: copyright http://pfrunner.wordpress.com
photo : Vincent Pfrunner / 1d-photo.org

La pétition pour la sauvegarde du «Théâtre de Verre» est en ligne. Italiens ou français, vous pouvez contribuer avec votre signature à la survie d’un espace de résistance humaine.

La petizione per salvare il «Théatre de Verre» è finalmente in linea. Italiani o francesi che siate… firmate per la sopravvivenza di uno spazio di resistenza umana.

http://www.petitiononline.com/ornitoma/petition.html

ossa

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os

Lavato al sole

E le mie ossa
Ho raccolto
dalla                         POUBELLE                         del tempo
dal                              MIO                                letto
Dove
Per otto notti
Ho giaciuto
Ed uno spazio infinito
Che in POLVERE consuma
Il mio cervello
E le mie dita ingrate
O stanche

Ho scritto
Come chiamare un'ambulanza
Come spostare i miei sogni
PIU' INDIETRO
PIU' INDIETRO

PIU'

INDIETRO 

swing, sambuca & raggamuffin

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sambuca

Il y a deux semaines on les a vus au Théâtre de Verre et on les a bien aimés.
Ils ont la force propulsive du melting pot. Déjà de la liste des instruments on s’aperçoit que le genre est justement ça : le mélange et l’esprit pour des sonorités entre le trip hop, « ambient », ska, reggae
Amérique latine, sound system.
C’est « Sambuca » nouvelle formation qui a apparemment un bon rapport avec l’Italie et qui on ne comprend pas bien pourquoi. Peut être un membre italien ? Peut être de Rome ?
Guitares, Batterie, Flute, Basse, Chant, Saxs ténor, Soprano, Platines, Scat, Sax alto : le rythme et l’esprit est sympa et, ce qui compte, la mélodie bouge et fait bouger. Il y a encore quelque chose qui cloche, une certaine perte de groove et un embarras en phase studio qui ne rend pas bien l’effet live.
Puis on a visité un « must » du raggae underground parisien : un endroit bien connu au peuple Ganja, l’AbracadaBar , qui après un débat a proposé le style de Selecta Abel aux platines et d’un sound system live « tout compris » avec une session des instruments à vent d’abord incertaine, après explosive. C’est aussi à cause d’un publique de raggaemen qui ont improvisé pour faire face à l’absence de Lion Stepper, « star » annoncé de la soirée.
Celui qui a chauffé la scène : Natanja. Un vrai volcan de mots et un freestyle (reggae)muffin souffert et délirant qui n’est pas seulement du reggae et qui regarde aux Etats Unis de Eminem (voir « Respect yur parents » ). En le regardant on ne peut pas imaginer sa voix : puissante et riche d’expressivité, caractérisée par des accélérations soudaines, lourds vocalisations, mouvements imprévus. Et en plus du caractère : un peu d’arrogance pour compléter le personnage.
Enfin, mais en réalité toujours le 6 avril, le Swing deluxe au Divan du Monde , groupe bien original, qui fait du Jazz Manuche. C’est-à-dire du jazz qui rappelle la vielle chanson française et la musique tzigane : le swing français de Boris Vian et Charles Trénet, jusqu’à la class 1920 des standards de jazz ou des comédies musicales américaines. Ainsi la class se voit sur les chaussures du chanteur.

http://www.swing-deluxe.com/
http://www.myspace.com/sambucamusic
http://www.myspace.com/natanjah

L’Etica. In Politica?!

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sarkopop

Sembra sbalorditivo per un italiano, al di là del vizio esterofilo della maggior parte della popolazione del belpaese, che in una nazione di poco vicina il dibattito intellettuale abbia ancora una qualche forma e consistenza e che i suoi riflessi si facciano anche intravvedere sulla stampa, in merito alla politica nazionale.
Dalle parti di place Gambetta due giorni fa distribuivano volantini della destra che pretendevano il riscaldamento climatico essere una menzogna della quale non tener conto alle prossime elezioni. Alle elezioni, in Francia, si parla anche di questo, ed il cambiamento di presidente è visto come una possibile influenza a livello internazionale su questioni di carattere mondiale.
Questo "gallocentrismo" offre il giusto pathos al dibattito consentendo se non altro di sviluppare una riflessione matura ed attiva sulla società e di contestualizzare il fatto politico interno.
Sarà forse l'attitudine francese ad identificare il pentagono (da queste parti il paese di Marianne si chiama così) con tutto il mondo, allora, ma il dibattito intellettuale da queste parti sembra esistere ancora.
E' il caso di un curioso articolo di Michel Onfray comparso il tre aprile fra le trame digitali del Nouvel Observateur ed intitolato "Le cerveau d’un homme de droite. Portrait de Nicolas Sarkozy".
Sebbene possa essere discutibile una fenomenolgia del reale totalmente basata sulla psicanalisi, come è quella del filosofo francese, Onfray arriva ad usare questo strumento per una analisi minuziosa del candidato.
L'articolo è la cronaca dell'incontro (commissionato da Philosophie magazine) fra i due, e vi vediamo Onfray impegnato ad estrapolare la consistenza etica e l'attitudine politica del candidato dell'UMP non da una serie di domande soltanto, ma dall'evento intervista, dall'incontro e dall'interpretazione gestuale.
Ne emerge una immagine in bilico fra aggressività e buonsenso. La forza della determinazione ed una freddezza a tratti idealista campeggiano in primo piano.

Traduciamo un passo:
[Io e Nicolas Sarkozy] intavoliamo una discussione sulla responsabilità, quindi sulla libertà, quindi sulla colpevolezza, da cui i fondamenti della logica della disciplina: la sua. Nicolas Sarkozy parla di una visita fatta nel carcere femminile di Rennes.
Abbiamo lasciato la politica dietro di noi.
Da allora non è più lo stesso. Essendo diventato uomo, sbarazzatosi degli orpelli del suo mestiere, fa il gesto del pugno chiuso sul lato destro del ventre e parla del male come di una cosa visibile, nel corpo, nella carne nelle viscere stesse dell'essere.
Credo di capire che pensi che il male esiste come entità separata, chiara, metafisica, oggettivabile alla maniera di un tumore, senza relazioni con il sociale, la società, la politica, le condizioni storiche. Gli pongo una domanda per verificare questa convinzione: in sostanza egli pensa che nasciamo buoni o malvagi e che tutto sia già regolato per natura.
In questo momento percepisco la metafisica della destra, il pensiero di destra, l'ontologia della destra: l'esistenza di idee pure senza una relazione col mondo. Il Male, il Bene, i Buoni, i Cattivi [...]. Tutto è deciso dal destino o da Dio, se lo si preferisce. Così il Militare, la Guardia, il Giudice, il Soldato in faccia al Criminale, il Nemico, il Contravvenente. Logica di guerra che vieta ogni pace possibile, un giorno.

Idealismo e destra nazionale.
Ed al di là delle posizioni parziali del filosofo, quello che fa riflettere l'occhio dell'italico straniero è la logica della politica ancora legata in qualche modo all'etica. Che poi vuol dire legata alla vita: una prassi dell'azione sociale come manifestazione di convizioni e visioni del mondo.
In Italia il dibattito delle politiche si è concentrato per lo più sul becero giustizialismo e sulle reciproche accuse di sfaldamento fra i due schieramenti.
Sull'insulto e sulla chiacchiera. Facendo presagire quella che oggi è la prassi parlamentare dalle nostre parti.

L'articolo di Michel Onfray 

Al margine. Teatro. Morte. Crudeltà. Scandalo.

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copyright rk22.com

Lunedì 12 marzo 2007 a Milano è censurata per la seconda volta in Italia la performance di Rodrigo Garcìa, Accidens – Matar para comer.
Seconda volta, giacché la prima risale a qualche anno fa, quando la performance venne presentata a Prato. E si respira una certa intenzionalità nell'operazione del regista: Garcìa sapeva (avendolo appreso sulla sua pelle nel 2002) dell'esistenza degli articoli 544-bis e 544-ter del Codice Penale (Legge del n. 189 del 20 luglio 2004) che Italia vietano uccisione e tortura in pubblico degli animali.
Ma l'intenzionalità dell'operazione artistica, la volontà di un pubblico supplizio, emerge anche dalle pagine del Manifesto, dove leggiamo l'indignazione del regista argentino in una lettera che potrebbe entrare ufficialmente a far parte dei suoi materiali testuali.
La missiva ha il tono duro delle equazioni etiche di Rodrigo Garcìa. L'attacco serrato del moralista che rivendica il valore etico dell'andare a teatro.
Il paradosso, infatti, in questo spicchio infinitesimale di mondo, è che la società, nella forma dell'OIPA e (per reazione) della Procura della Repubblica di Milano, rifiuta uno spettacolo teatrale.
Le parole giuste per parlare di questo paradosso ce le fornisce Garcìa:

[...] mi proibiscono di fare la mia performance. [...] Lo proibiscono i giudici con scarpe di pelle, giudici con borse di pelle, poliziotti con camicie cucite dai bambini dell’Asia e la gente della politica che permette che la televisione sia uno schifo e che nelle strade pubbliche proprio in questo momento un prodotto venga pubblicizzato con un bebè di sei mesi che pensa o sogna di comprare non so cosa.
Di fronte a tanta ipocrisia e violenza ancora esistono edifici chiamati teatri che si offrono alla città come spazi o selve di resistenza poetica in assoluta utopia.

Nella performance un astice è appeso al centro della scena e microfonato. Un attore parla. Alle sue spalle uno schermo proietta scritte ed immagini. Il brano What a wonderful world scorre. Poi l'attore prende l'astice, lo prepara e lo mangia.
Nelle crepe di questa azione scenica si annida un tema ricorrente della produzione di Garcìa, ovvero la riscoperta di un rapporto diretto, etico, con il cibo perseguito attraverso un processo di riconquista. A l'uomo massmediaticus consumatore di panini surgelati Garcìa oppone il gesto dell'uomo che torna a donare la morte per nutrirsi.

Il nodo della questione non è neanche valutare o meno della bontà dell'operazione di Garcìa.
Il nodo della questione è chiedersi perché una istituzione assecondi la censura per il teatro.
Perché censurare una forma di comunicazione artistica il cui ruolo è esattamente quello di entrare in dialogo con la società?
Aiutare la società a costituirsi in valore. E' questo l'esercizio faticoso del teatro.
Dietro la censura dello spettacolo di Garcìa si annida un fatto ben più cruciale del se sia giusto o meno uccidere un animale in scena. Dietro l'atto odioso del mettere la benda sulla bocca di qualcuno si vede la logica pragmatica e crudele di una società che sta smettendo di essere sociale. Una società che si schiera in maggioranza silenziosa e fa quadrato a difesa del conformismo e dell'omologazione. Una società che non si indigna di fronte a quanto le culture ufficiali siano sempre di più delle culture di regime.
Culture da maggioranza silenziosa.
L'ambientalismo diventa uno strumento di consenso.
La retorica della sinistra assimilata al sistema si fa portabandiera di cause mediocri lucidate di ambientalismo e terzomondismo e pacifismo.  

Il gesto che l'attore di Garcìa compie in scena tocca le corde di un rimosso. Il rimosso della morte. Il riflesso catodico della morte è oggi esaltato e potenziato. Alla televisione, fra la pubblicità del deodorante e del telefonetto, assistiamo ogni giorno a fucilazioni, guerra, rapimenti, morte, distruzione. Alla televisione la morte aleggia.
Perché la stessa società che sta a guardare, che si nutre per somministrazione fluorescente di questa morte, resta urticata da un evento che ha coinvolto un attore, un astice e la platea, ovverosia un gruppo di persone ben più esiguo dello share dei giornali televisivi?

L'idea di morte è uno strumento potente di sollecitazione emotiva. Ma quando l'idea di morte si  tramuta in pornografia l'azione del fluoro venefico dei nostri dentifrici Colgate è più potente.
La rimozione della morte è uno dei miti della nostra società: la pervasività, la sovraesposizione come ai raggi ultravioletti ad immagini di morte ne annulla la presenza nelle nostre vite.
L'ultimo grande sogno dell'edonismo tecnologico, l'immortale cyborg, sta arrivando.
Ecce homo.

Ejzenštejn ci suggerirebbe con il suo montaggio delle attrazioni, che l'associazione di due immagini provoca una sincope improvvisa a livello nervoso. La produzione immediata di una terza idea, una sensazione a metà fra il riflesso condizionato di una bestia ed il pensiero associativo.
La televisione è un linguaggio delle attrazioni.
La televisione è un flusso associativo di morte e sorrisi, continuo ed implacabile.
L'isolamento di un oggetto su una scena, invece, ha la facoltà di eliminare la patina di polvere che l'abitudine sensoriale ha depositato sul quell'oggetto.
La scena ha il potere di isolare e riportare alla luce gli oggetti, che vengono riscoperti nella cornice astratta del boccascena.
La mente effettua un'opera di ricostruzione dell'oggetto, entrando in speculazione con esso. Chiedendosi il perché della sua presenza e ragionando su di essa.
L'oggetto morte è il centro della performance di Rodrigo Garcìa.
Ed a teatro l'oggetto morte riacquista il suo valore perturbante. La morte non è più un fatto pacifico.

Una società come la nostra non può tollerare che questa morte ritorni.
L'immagine, l'idea di morte è uno strumento ad uso esclusivo dello status quo.
La morte privata di una distanza catodica di sicurezza costituisce un risveglio. Possiede una forza tanto più viva quanto più reale: è uno strumento semantico di potenza straordinaria.

La piccolezza del nostro italico «fait divers» ne fa anche l'enormità: la proporzione microscopica di quanto è accaduto a Milano mostra che non ci sono complotti e non esistono tavole sulle quali si decidono le sorti del mondo. Una associazione ambientalista italiana traduce un atteggiamento globale e entra a far parte della forza di un sistema che si perpetua da solo, senza guida, in modo pervasivo e generalizzato, e che impone il suo funzionamento direttamente nell'ipofisi.
Un sistema autorigenerante.

Garcìa riprende intelligentemente questo rapporto diretto e poetico che il teatro possiede con la percezione anche nella prosa della sua lettera aperta. Quando si appella alla coscienza di un "tu" lettore. Quando sollecita una reale indignazione.
Una scossa alla logica pavloviana cui siamo sottoposti dalla pervasività dei media, dalla meccanicità delle operazioni mentali di fronte ad internet, alla televisione, ad un box interattivo.

Come una nuvola elettronica il mondo non sopporta più l'assenza di luce. Esso si trasforma in un unico grande occhio in cui la sola forma possibile della fruizione è il voyeurismo. Centinaia di satelliti allungano le loro ombre sui nostri continenti. La visione totale e globale, la presenza dell'occhio ovunque: una attitudine panoptica è sollecitata. Guardare da dietro la scrivania del lavoro. Dietro un tubo catodico. Dietro uno schermo al quarzo o al plasma o al cristallo liquido. Dentro ad un telefono.
La logica del consenso inizia esattamente da qui. Dalla visione controllata e dosata.
Il che fa la forza ustionante di un evento imprevedibile come il teatro.

La capacità elaborativa che il teatro esercita sulle forme della comunità umana è l'ultimo eroico baluardo contro la civiltà della morte. Contro una comunicazione assoggettata alla meccanica ed alla serialità esiste ancora la presenza e la possibilità di sperimentare la morte.
Il contemporaneo esercita una azione di potenziamento vertiginoso della condizione di deiezione: l'allontanamento dal reale per la conquista di una dimensione completamente virtuale comporta una abitudine alla realtà, ed alla sua inautenticità.
Come ha intonato qualcuno, il teatro e lo spettacolo devono essere operazioni reversibili. A dire attori ed oggetti come giochi di scena.
L'evento multimediale, il DVD, il film, il digitale sono reversibili. Possono essere ripetuti e replicati all'infinito. Il pulsante «rewind» alberga placido su tutte le tastiere che ci troviamo a maneggiare ogni giorno.
La fenomenologia del fatto scenico sta esattamente al contrario di questa visione.
L'esperienza teatrale è una esperienza irreversibile. Si basa sulla concezione stessa della vita.
L'errore che l'attore compie è sempre reale e non può essere eliminato o tagliato.
Le molecole di cui sono composti il palco e le presenze che lo popolano sono reali. Il palcoscenico, ad ogni replica, è soggetto a cambiamenti irreversibili, minimi o grandi che siano. L'attore sulla scena invecchia e suda e perde le forze.
Il pubblico trasforma in immagine la realtà e la mente ne stilizza le forme. La compresenza del passato e del presente e del futuro all'interno della cornice scenica sono il principio stesso del mondo.
Il teatro non è un gioco televisivo.

E non sarebbe la prima volta che lo spettacolo utilizza la morte, se una tradizione come la tauromachia risale alla più lontana scoperta dell'Essere nel mondo occidentale, nella Grecia antica. Come un ammonimento, l'uccisione del toro stava e sta a ricordare i limiti della bestialità e della brutalità. Circondare in un cerchio magico la morte per esorcizzarla ed assimilarla al reale. L'allontanamento schizofrenico della morte nel mondo occidentale odierno è agli antipodi di questa metabolizzazione spontanea e rituale.
Al consumo corrisponde sempre consumo. E l'immagine di morte è consumata come il dopobarba o la gomma da masticare.
L'arte antica della corrida stabilisce un confine sottile fra uomo e bestialità.

L'utopia del teatro è l'irreversibilità della condizione dello spettatore che per un istante di visione smette di essere gettato nella realtà e ne torna a percepire l'autenticità.
Icaro verso la luce fino a perdere le ali.

la polemica chez Oliviero Ponte di Pino

Parigi, la Francia, le presidenziali

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Nella Francia delle presidenziali, nella Francia delle elezioni sul filo del rasoio, dei dibattiti alla televisione e dell'inizio della politica mediatica (ma con molta più attenzione che dalle nostre parti). Nella Francia dell'indecisione totale, in cui le numerose free press distribuite nei mezzi pubblici e nel labirintico metro parigino sfornano sondaggi contrastanti e contradditori.
In questa Francia accade che la Polizia presidi la strada che ospita il centro direttivo della campagna presidenziale dell'UMP e che il presidio si estenda a tutta la citta, in una cappa di sadica tensione che ha il sinistro aspetto del giustizialismo dei palotini di re UBU.
C'è lo stesso quoziente di idiozia nelle operazioni della milizia di Sarkozy che lascia le racails indisturbate mentre carica i passeggeri del metro. La stessa illogicità spietata degli émeuts animati dalla violenza delle racailles.
Quoziente di idiozia e – sebbene Parigi non sia tutta la Francia – una capitale che somiglia ad una polveriera. Sarà il carattere della città, storicamenta abituata alla violenza come esplosione improvvisa ed irritante. La rivoluzione Francese. La resistenza delle esperienze comunarde.
Città di émeuts, Parigi vive la sua condizione anche nel contemporaneo.
Al punto che vediamo martedì 27 marzo un episodio impressionante. Alla Gare du Nord qualcuno non paga il biglietto e viene bloccato dagli agenti di controllo. Ora, questi agenti di controllo pare avessero uno strano prurito sulle mani, tanto da indignare il capanello di viaggiatori presenti. L'intervento di qualcuno contro le guardie è bastato a far esplodere le violenze e a far arrivare alla stazione le forze dell'ordine in assetto antisommossa.
Da lì il panico. Viaggiatori bloccati sulle banchine fra l'RER (il treno leggero), la stazione, il métro. Le racailles che impazziscono e saccheggiano le boutique sotterranee. Alcuni negozi sbarrano le vetrine. Altri diventano il rifugio dei passeggieri.
Alcuni, molti, vengono saccheggiati.
La polizia fa cordoni e carica tutto e tutti, ma non interviene quando ha sotto agli occhi episodi di rapine ai danni dei passanti.
Il caos.
Martedì 20 marzo la direttrice di una scuola nel XIX arrondissement, parte cinese di Belleville, si è opposta alla polizia assieme ad alcuni genitori indignati. I poliziotti attendevano all'uscita di scuola i genitori irregolari, i sans papier. L'insegnante è stata messa in "garde à vue" per sette ore. Forse per aver negato i valori della Repubblica.
La logica del ricatto e l'impressione che si tocchi il diritto alla scuola e all'integrazione dei bambini stranieri, hanno provocato la sollevazione degli insegnanti di tutta parigi.
Le scuole materne ed elementari hanno appeso striscioni di solidarietà dipinti dai bambini. "Sarko" minimizza.
Così come aveva minimizzato l'esplosione delle violenze nelle banlieu nell'ottobre del 2005.
L'anno passato, agli Invalides, le manifestazioni virulente contro il famigerato CPE, il contratto di primo impiego (simile, ma ben più garantista per il lavoratore, ai nostri co.co.pro.), hanno scatenato una vera guerriglia di strada fra le alte torri moderne di uno dei comuni più ricchi di Francia.
E poi i disordini a place Nation in aprile dove un sindacalista è andato in coma e dove appena una settimana prima le racailles avevano saccheggiato i manifestanti sotto gli occhi delle forze dell'ordine.
La logica dell'ordine ferreo a tutti i costi è una delle cause di questa aumento incontrollato delle tensioni sociali. E ciò che è paradossale è che la sicurezza è uno dei punti principali della campagna presidenziale dell'UMP.
Mr. R – rapper non troppo noto fra i giovani bianchi parigini, ma giunto agli occhi dell'establishement della stampa nazionale ed internazionale, a causa di una sua canzone assai irreverente in cui la Repubblica è paragonata ad un regime – rende bene l'atmosfera: nei suoi album sputa su tutto e tutti, parla di solidarietà e della necessità di una integrazione concreta, sul piano sociale e lavorativo. La miseria non può più esistere in un paese civilizzato: e la sovversione non è dett oche sia una alternativa da scartare. Rien a foutre.
Ecco fatto, Paris. La protesta monta con una virulenza in Italia sconosciuta. Se pure l'UMP uscisse vittorioso da queste elezioni ben più incerta sarà la realizzazione dell progetto di riforma del mercato del lavoro che ha in mente Sarkozy.
A giudicare da quanto successo l'anno scorso le resistenze dell'ile-de-france saranno impressionanti.
12.000.000 di abitanti censiti. Un polo di attrazione e centrifugazione irresistibile per la popolazione francese che fa reagire i gangli del paese con energia.
Le intenzioni della nazione viaggiano spesso in senso in verso alle intenzioni della capitale, se Le Pen – nel 2002 – si trovò di fronte a due milioni di manifestanti solo per essere passato al primo turno con Chirac: ovvero, Parigi protesta e si solleva anche contro "il volere popolare" cui si fa spesso appello anche in Italia.
Se sarko avra la Francia, forse, dovrà essere disposto a perdere il controllo di Parigi.