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Requiem per Parigi

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requiem
Nel marzo 2006 Parigi m’innamorò.
Ed era la vita notturna a rapirmi. Dalla perpetua e sonnacchiosa Roma ad una capitale in cui era impossibile restare a casa.
Una capitale in cui le Notti Bianche erano all’ordine del giorno e non un’annuale eccezione alla regola.
All’epoca c’erano il Bal des Pianos alla ghigliottina, le domeniche danzanti al Théâtre de verre a due passi dai Grands Boulevards, la Générale des Arts nel cuore di Belleville, gli squat e le occupazioni artistiche, le crémailleres private che aprivano le porte ai passanti (mitica una serata casuale in un appartamento sul boulevard Voltaire), i balli alla Mer à boire. I bistrot roventi di fumo e concerti.
E poi c’erano i pic-nic sul bordo della Senna, al pont des Arts, sul canal St. Martin. Le birre gelate ai Trois frères, con la folla di avventori riversata per le strade del XVIII e gli organetti improvvisati in piena Montmartre.
Fu una lunga estate calda, quella.
Estate di sassofoni nella metropolitana e di tuffi nella Senna.
Bastava incamminarsi per la Buttes-aux-cailles per sbronzarsi, e cantare in strada scivolando a sud, in discesa verso un deposito ferroviario dismesso ed intrufolarsi poi nelle misteriose catacombe.
Certo, all’epoca Parigi già bruciava d’inquietudini e risse.
Era quello il tempo degli incendi e delle rivolte nelle Banlieu. L’epoca dello sciopero anti-cpe e dei lacrimogeni in strada e degli scontri a place Nation. L’epoca delle notti bianche con le coltellate in pieno centro e dei capodanni irrorati d’alcol e violenza.
E quindi si reagì. Con la telesorveglianza totale.
E venne la stagione della polizia e del controllo.
Oggi gli squat sono stati tutti più o meno sgombrati, la Guillotine s’è dovuta trovare una casa a Nanterre, sul canal St. Martin uno spinello può valere l’arresto, ed il leitmotiv delle notti passate a fumare fuori dai locali per via della legge antifumo è: niente bicchieri fuori, niente chiacchiere ad alta voce.
Questione di buon vicinato. E di polizia.
E davvero fa impressione la quantità di guardie messe a controllo di rue e boulevard: in bici, coi pattini, con le moto e le volanti non fanno che battere in lungo e largo la capitale.
Ed il poliziotto francese, con le sue armature in kevlar, i manganelli ben esposti e gli stivaloni militari, fa ben più paura di quello italiano.
Delle morte della nuit folle se ne sono accorti diversi organizzatori ed artisti della capitale francese, che in questi giorni in un appello che sottoporranno alle autorità municipali, parlano di «Paris, ville mortuaire», «ville soumise».
Mi pare però che l’Ancient Regime ritorni un po’ dappertutto in Francia, se appena un mese fa, a Metz – dove c’era la Notte bianca – mi sono imbattuto in uno squadrone di CRS (letteralmente Compagnie Repubblicane di Sicurezza) che in abiti paramilitari picchiavano un gruppetto di diciottenni, rei soltanto di esibire una sbronza rumorosa nella ricca e calma provincia del nord.
Spero solo che tutto questo non valga come consolazione a Roma, che rispetto a quel lontano 2006 è certo meno plumbea di Parigi ma sempre sonnacchiosa, immobile, statica.