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Wittgenstein e il ctrl + z

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Se le interfacce sono una simulazione sempre più perfetta della realtà non dobbiamo dimenticare che restano, appunto, una simulazione.
L’affermazione è meno banale se pensiamo alla più peculiare differenza fra realtà ed interfaccia: la reversibilità delle operazioni.
Ciò che infatti caratterizza il virtuale – che esso sia il volto bidimensionale del mio sistema operativo o una complessa simulazione a tre dimensioni per l’apprendimento delle tecniche di aviazione o ancora una esperienza “immersiva” di gioco – è la possibilità di muoversi avanti ed indietro nella scala temporale, con la possibilità di forgiare la realtà attorno alle nostre azioni, che in questo modo si moltiplicano e (dovrebbero) perfezionarsi.
Ad un corso di alfabetizzazione informatica un mio amico, per far comprendere l’operazione crtl + z – quella comunemente denominata “annulla” – ha portato un esempio che ha stupito più d’uno degli auditori. È – diceva – come se mi cadesse il telefono frantumandosi in mille pezzi, ed io potessi tornare indietro nel tempo. Una signora ha quasi applaudito per la geniale trovata.
Le interfacce sono una forma totalizzante di linguaggio, perché combinano tutti o quasi gli universi segnici, in modo verticale, cioè simultaneo. Con il linguaggio d’altronde le interfacce condividono, ed anzi potenziano, l’artificio semantico della metafora: il caso più lampante è l’organizzazione dei sistemi operativi in “finestre” (ma su cosa affaccino queste finestre, poi, nessuno sarebbe capace di spiegarlo…).
In quanto iper-linguaggi le interfacce possono essere considerate delle iper-metafore.
Il gioco di specchi delle metafore sempre impiegate dal linguaggio, il quale così si delinea come metafora totalizzante del Mondo, spingeva Wittgenstein ad affermare che il linguaggio non solo descrive il Mondo, ma ne significa i limiti.
«La proposizione è un’immagine della realtà: Infatti io conosco la situazione da essa rappresentata se comprendo la proposizione. E la proposizione la comprendo senza che me ne si dia il senso.» (Tractatus, 4.021). Ma, prosegue il filosofo, non potrò mai spiegare se non con delle altre proporzioni, il rapporto che intercorre fra queste ed il Mondo.
Bel problema.
Cui si aggiunge la contrapposizione fra dire e mostrare: il “cono d’ombra” del linguaggio, ciò che esso non può dire, è «ciò che può essere solo mostrato». È questo ultimo dettaglio che completa il quadro sulle interfacce, linguaggi tanto più autoritari in quanto potenziano la metafora, in un “dire che può essere mostrato”.
Se la realtà è sempre più contenuta nella metafora del virtuale come cambia il nostro rapporto con il Mondo?
Non saprei dire.
Ma la cultura che ha prodotto le interfacce, in esse descrive il suo preciso rapporto con la realtà, una realtà che si fa elastica e che può facilmente essere piegata al proprio volere. Pensaci. Quanto e come pensiamo di forgiare il Mondo al nostro volere, oggi?
La signora che si stupiva e desiderava impiegare il comando annulla nelle cose della sua vita, probabilmente si convincerà, un giorno, che anche la sua esistenza può essere annullata o riavviata.
Rewind.
Shut-down.

stupernità

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Meret Oppenheim, "scoiattolo", 1969
La stupernità è un tipo assolutamente particolare di stupidità.
Intanto, la stupernità è una stupidità moderna.
E dato che in una società illuminista e tecnocratica, d’umane sorti e progressive, quale la nostra, ci si illude che la modernità contenga in sé un alto tasso di intelligenza, potremmo tranquillamente osservare che – qui ed ora, cioè nel nostro cantone di mondo – la stupernità è un ossimoro: una stupidità intelligente.
Lo avevano capito già le avanguardie storiche che il nostro è un mondo di accidens, accidenti (o cose) calati nelle ambiguità semantiche dell’incidente.
Non è un caso che l’incidente sia a sua volta una stupernità, essendo il ribaltamento d’una funzione tecnologica, la conversione da un uso proprio ad un uso improprio di un oggetto che in condizioni normali reputiamo “intelligente”, (l’automobile, il treno, l’aeroplano, l’i-phone…).
E si spiegano con la meccanica dell’incidente anche il grande vetro di Duchamp e le foto di Man Ray che ne documentano la trasformazione in “allevamento di polvere”. Oppure l’orinatoio rovesciato e le stampelle che si fanno trappola, che squarciano il velo della realtà, sempre in ambito dadaista o surrealista.
Ed infine, una volta trasposti i principi di quelle avanguardie alla realtà, siamo arrivati all’opera d’arte totale, l’attacco alle Torri Gemelle, documentato – così come si documentano le performance – da migliaia di punti d’osservazione diversi e registrato sulla rete globale della conoscenza. Si scopre così che le regole del terrorismo sono le stesse della pubblicità: un messaggio può affiorare nel rumore dell’unica vera realtà, quella mediatica, solo a patto di avere il giusto grado di violenza.
Ma stupernità è anche quello che mi capita più o meno una o due volte alla settimana e che sarà capitato certamente anche a voi.
Accendo il portatile, mettiamo, per tradurre un testo; al che, un messaggio attrae la mia attenzione comunicandomi che alcuni aggiornamenti sono indispensabili. Non voglio mettere a rischio la mia preziosa memoria digitale e, apprensivo, decido di installare gli aggiornamenti. Torno alla mia traduzione. Ma proprio quando ho acquisito il giusto grado di concentrazione, il computer mi comunica che deve essere riavviato. Il disco rigido inizia a girare, qualcosa non va e per venti minuti il “sistema” resta piantato, mostrandomi lo sfondo colorato di una qualche foto presa in Messico o California. Apprensivo, ancora, seguo la luce del disco rigido lampeggiare. Attendo che finisca di scrivere (non so bene che cosa scriva tutto il tempo la mia macchina).
Spengo a mano.
Riaccendo.
Risentito, il computer mi comunica che non è stato spento correttamente. Lo avvio. In altri quindici minuti ho finalmente di nuovo il diritto di tornare alla mia traduzione, rapita per un’ora dalla stupernità, che ghigna dietro ogni ontologica catastrofe quotidiana.
Almeno fino ad ora (14 novembre 2009, h15:28) un comune elaboratore di testi non riconosce in stupernità nessuna parola: al tasto destro sulla parola sottolineata in rosso campeggia (in grigio) la scritta “nessun suggerimento”; né Google è in grado di suggerirmi una parola alternativa, per ottenere qualcosa di più dei 0 risultati (non) visualizzati.
Ma fra qualche ora questa mia ultima affermazione sarà falsa.
Basterà infatti digitare la parola nel motore di ricerca per avere il primo risultato. Questo.
Una faccenda assolutamente stuperna.