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Spencer Tunick: foto o performance?

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spencerTunick

Video: leparisien.fr

Le foto di Spencer Tunick non sono particolamente interessanti da un punto di vista tecnico.
La qualità di questo straordinario artista risiede suprattutto nell’istinto teatrale necessario al controllo delle enormi masse di persone che docilmente si prestano alle sue performance, denudandosi nei luoghi più impensati del mondo: dagli alti ghiacciai in estinzione, alla Piazza Rossa; da Città del Messico a Londra; dai remoti deserti naturali alle affollate metropoli occidentali.

E sono performance, appunto, quelle di Spencer Tunick, in cui si ha l’impressione che la fotografia sia solo uno strumento di documentazione di un atto collettivo e naturale rivolto all’esperienza della diversità. Qui la fotografia non sembra, insomma, l’oggetto della riflessione artistica, ma il mero strumento, la traccia, di un gesto altrimenti muto.

L’incrocio delle tematiche sollecitate da questi nudi collettivi si articola su più livelli tematici. In particolare, la diversità delle nudità reciproche, esprime la diversità della
condizione razziale e la rende impossibile e paradossale.
E ancora il nudo è presentato come la possibilità di esplorare azioni e reazioni al di là dell’abitudine e delle maschere quotidiane.
Al di là dell’abito, per esporre una comune natura umana, misteriosa e meravigliosa, sia che occupi il marciapiede di New York sia che si stenda su un molo del mare grigiomercurio d’Irlanda.

Ecco una rappresentazione della fragilità umana: nudo in una biosfera in equilibrio precario, l’uomo assume una bellezza eterna ed asessuata, perché esposto nella semplice perfezione del divino.
Le masse che popolano queste immagini sembrano colonie batteriche, aggragazioni di una delle infinite forme di vita che abitano il pianeta. I corpi si combinano in frattali rosa e neri e bianchi, puntuti delle braccia e delle gambe di una coreografia statica, quasi a dischiudere la conchiglia, il coocoon, che scherma le nostre esistenze.
Nei vestiti si incrostano i retaggi sociali e quelli comportamentali, e attraverso l’abbigliamento si esprimono ruoli sociali, forme di segregazione, culture: tutto ciò che ci rende umani, ma che ci fa anche dimenticare della disarmante verità dell’uguaglianza.
Il corpo vecchio ed il corpo giovane, il colore della pelle e quello dei capelli, altezza e grassezza. Nella massa le caratteristiche fisiche e sessuali passano in secondo piano. E la differenza così nettamente esposta diventa appartenenza univoca alla sola razza che conti: quella umana.
E così le masse nude si fanno riunioni di angeli asessuati. L’eguaglianza è assoluta nella pure totale varietà di forme e colori.
Eccoli gli uomini di fronte al cosmo. Esseri persi in remote terre desolate, abbandonati da una divinità muta e severa nell’immensità dell’ecosistema e dunque stretti fra di loro per rubare forza e calore all’atmosfera.

Rimane solo la bellezza della varietà umana e naturale, in una astratta geometria della visione.
Le skyline e le architetture ne risultano scolpite, incastonate, di pelle e di carne.
E’ una specie di rito collettivo che si è ripetuto qualche giorno fa, il 3 ottobre, in Francia, in occasione di una azione di sensibilizzazione organizzata da Greenpeace, che in collaborazione col fotografo ha realizzato una campagna contro il riscaldamento globale, coinvolgendo 720 volontari che hanno passato un pomeriggio a passeggio (nudista, certamente) in una vigna della borgogna.
Sembra infatti che il riscaldamento globale avrà effetti significativi sulle zone vinicole, che già oggi si spostano progressivamente più a nord, con conseguenze ancora imprevedibili per le regioni cui fino ad oggi era riservato il privilegio divino dell’uva.

Al di là dell’impegno politico e della bellezza puramente visuale delle immagini prodotte da Tunick, restano numerose le perplessità su questa fotografia smaccatamente spettacolare, high budget, che mette una idea (le coreografie di massa, l’effetto straniante delle folle nude) al di sopra di ogni altro elemento estetico.
Una parte su tutte le altre. Tanto che viene da chiedersi se sia veramente il mestiere del fotografo a fare la differenza.