articoli con tag velocità

la nuvola nera dello sviluppo

inviato nella categoria la facoltà di giudizio | No Comments »

air_tragedy_001
Una nube. Un blackout. I cieli d’Europa sgombri.
Chissà se nel 1821, anno dell’ultima attività del vulcano Eyjafjöll, gli europei si accorsero del fenomeno. Probabilmente no. Probabilmente gli europei, all’epoca, continuarono a vivere la loro vita senza troppi turbamenti.
Oggi, invece, la catastrofe.
Una farfalla batte le ali in Islanda, tutto un sistema sembra crollare nel resto del mondo.
È un castello di carte questa civiltà transazionale.
Così basta poco per realizzare che la nuova e perpetua transumanza transcontinentale è appesa ad un filo.
Con stupore ho appreso che solo fra le mie dirette conoscenze quattro persone erano bloccate da qualche parte in Europa. Impossibilitate a muoversi.
Fino ad oggi avevo ignorato che quattro persone a settimana fra le mie conoscenze, prendessero il volo per trovarsi più o meno istantaneamente a migliaia di chilometri di distanza.
Così mando un messaggio all’amico in villeggiatura lampo alle Canarie. Non sa quando tornerà ed è seriamente preoccupato perché giovedì deve essere improrogabilmente in Italia.
L’amica olandese resta a casa mia e rimane appesa alla comunicazione telematica per quattro lunghi giorni, cercando di capire come tornerà lassù ad Amsterdam e quando.
La sua ansia diventa la mia e nella notte fra martedì e mercoledì il mio sonno si popola di lunghe code agli sportelli dell’aeroporto di Beauvais, terminati con viaggio in macchina verso i Pirenei quando io invece volevo andare a sud, in Italia, a Torino.
Qual è la giusta direzione per Lione?
Tutti bloccati.
Tutti sgomenti.
Sarebbe bello poter fare un elogio della lentezza di questi lunghi giorni a terra, e sarebbe stato bello per costoro poter approfittare del tempo perduto, che sempre dovrebbe essere tempo guadagnato.
Ma niente. Nella civiltà del movimento istantaneo, del gratta e vinci e del mordi e fuggi non c’è tempo per prender le cose con lentezza. Quel tempo lì, il tempo morto, scivola fra le dita, e si perde nei rivoli di internet e dei call center. Nella ricerca disperata di informazioni a pagamento; nelle lunghe code agli sportelli delle ferrovie; nelle voci registrate al telefono e nei servizi più catastrofisti alla radio ed alla televisione.
Il tempo morto marcisce e basta.
Non v’è spazio per lo stallo creativo.
Anche l’aspetto delle metropoli è cambiato: prima la popolazione turistica appesa ai bar e nei vicoli, inebetita o euforica, come colta di sorpresa dal ridicolo impasse; poi, una volta trovate le innumerevoli alternative al trasporto aereo, il centro senza turisti, desertificato.
Una società che si crede forte ed invincibile, ed invece è fragile.
Fragilità riconducibile all’innaturale rapidità della comunicazione aerea, certamente; ma se pensiamo che nella maggior parte dei casi il blocco aereo è stato di tipo preventivo, ispirato, cioè alla complessità di una simulazione matematica, è facile realizzare che lo stallo è semantico. Che la civiltà tecnologica, intrisa di calcolo e pronostico, illusa di poter contenere il mondo nelle leggi della fisica e della matematica è in realtà vittima di se stessa, schiava della modellizzazione e della virtualizzazione della realtà.
Una civiltà che non intende ignorare neanche per un istante gli accidenti e le probabilità diventa inevitabilmente vittima della sua perpetua politica della prevenzione, in cui le variabili sono illusoriamente messe in fila per lasciare minor spazio possibile al caso.
Cittadini dell’impero della prevenzione siamo ormai vittima delle nostre ansie, la cui fondatezza è decisa da un elaboratore di calcoli e da una non meglio precisata previsione dei rischi e degli incidenti.
Il problema però è che in un civiltà in cui la velocità aumenta, la possibilità incidente è sempre appostata dietro l’angolo, nostra compagna ed incubo. L’incidente probabile aumenta di proporzioni; previsto o imprevedibile, possibile o impossibile, si fa sempre più artefice dei nostri destini.
È una fragilità semantica che affonda le radici nel terrore per il futuro e per la morte contro la quale lottiamo attraverso lo sforzo costante di ridurre le probabilità.
E spesso prendiamo la probabilità per certezza.
A poche settimane dalla giornata della lentezza questo blackout totale del traffico aereo suona come un paradosso.
Ci saranno pur stati dei vantaggi, dico all’amico alle canarie.
E quello: no. Anzi, una truffa delle compagnie aeree low cost che si sono comportate come in un nuovo far-west dell’aria.
Eppur piangono già, per i profitti ridotti e le perdite aumentate.
Perché poi la probabilità sembrerebbe avere un impatto sulla finanza e sull’economia.
FAR WEST.
Lontano ovest: in questi giorni sei stato ancora più lontano.
Quasi un sogno irraggiungibile.
Sulle nostre teste l’azzurro del cielo e basta.
Ad Amsterdam sembra che il cielo fosse più azzurro che nei giorni normali.
In televisione ho sentito un geologo affermare che PROBABILMENTE ci aspetta un’estate più fredda.
L’eruzione secondo costoro dovrebbe ridurre l’irradiazione solare in Europa.
Intanto ciò che non è probabile, ma certo, è che ha già ridotto l’emissione di gas serra per traffico aereo, con saldo di 206.456 tonnellate di CO2 in meno nell’aria. Tolte le 150.000 tonnellate del vulcano fa 56.465 tonnellate al giorno in meno nell’aria.
La velocità… così fragile, così costosa.

Terre Natale – Ailleurs commence ici. Topografia dell’altrove.

inviato nella categoria la facoltà di giudizio, the T.Blair which projects | No Comments »

 Terre Natale - Ailleurs commence ici. Topografia dell’altrove.

Paul Virilio non è nuovo dell’ambiente. Anzi, è di casa.
Per la Fondation Cartier pour l’art contemporain aveva già pensato una mostra cruciale, Accidens, che sviluppava il tema dell’incidente come forma d’arte nelle civiltà della velocità, dell’ipertecnologia, del dominio mediatico.
In questi giorni Paul Virilio è ancora lì che passeggia e parla, passage d’Enfer, un budello ad appena qualche metro dalla sede della fondazione, stesso marciapiede, davanti al cimitero di Montparnasse. Tutto il giorno Paul Virilio cammina e parla e percorre il passage: ma è una luminescenza in proiezione perpetua al piano “Sous-Sol” della mostra organizzata stavolta con Raymond Depardon, fotografo e documentarista francese fra i più celebrati. Doppio titolo (o titolo e sottotitolo) per il duplice percorso che durerà fino al 15 marzo: “Terre natale – Ailleurs commence ici”.Terre Natale - Ailleurs commence ici. Topografia dell’altrove.
I temi sono quelli cari ai due organizzatori, che pur con le loro specifiche sensibilità, si fanno eco l’un l’altro in simmetria quasi perfetta. Al centro v’è l’idea di terra natale, polverizzata dalla globalizzazione, sia per gli occidentali – costretti per la prima volta a confrontarsi con la perdita di identità e tradizioni e col mondo rimpicciolito a colpi di comunicazione e supervelocità – sia per i “figli di un dio minore” che vedono progressivamente scomparire il loro spazio vitale, e i loro ecosistemi farsi sempre più piccoli.


La terra non basta! La terra brucia!

Per entrambi la terra sembra più piccola di prima. Ma si inizia con chi la terra e l’identità se le vede rubare. Sull’imponente maxischermo della grande sala, gira a loop “Donner la parole”, sequenza di ritratti girati in alta definizione, pillole linguistiche introdotte da giganteschi titoli rossi che segnalano il luogo e la lingua del parlante. Poi il breve monologo.
Sentiamo parlare in Kawésqar (Cile), Chipaya (Bolivia), Quechua (Bolivia), Mapuche (Cile), Afar (Etiopia), Occitano (Fancia), Bretone (Francia), Guarani (Brasile) e Yanomami (Brasile). Una sequenza di dettagli di volti parlanti che ammoniscono la civiltà di massa. Divinità primitive, elementari, pure, schiaccianti. Le dimensioni della proiezione ed il dettaglio del digitale a donare forza simbolica alle immagini.
Si prosegue con quelli a cui la terra non basta. Il limite della crescita infinita è solo la terra, che già progettiamo di abbandonare. Pianeta usa-e-getta, piccolissimo, minuscolo: il nuovo nomadismo ipertecnologico ci fa stare sempre a casa, il movimento è sempre più svincolato dalla proporzione geografica. Il mondo è un granello di sabbia.
Per la secondai installazione Raymond Depardon ha fatto il giro del mondo in 14 giorni, riproducendo una delocalizzazione paradossale per rapidità e simmetria degli scenari. Solo con la sua camera tascabile ha toccato Washington, Los Angeles, Honolulu, Tokyo, Hồ Chí Minh (già Saigon), Singapore, Città del Capo.
I video, divisi in giorni, sono proiettati su due schermi messi ad angolo. Riprese a camera fissa che osservano attonite lo scorrere delle auto, o la vita nelle strade commerciali. Da più punti di vista, in sincrono, fuori sincrono. Le città occidentali si replicano l’una nell’altra e finiscono con l’assomigliarsi tutte.


Altrove comincia qui.
E veniamo (torniamo) a Paul Virilio che cammina nel passage d’Enfer.
Il suo monologo ci introduce alle video-installazioni progettate da Diller Scofidio + Renfro.
Si parte da un dato di fatto: nei prossimi 40 anni duecento milioni di persone saranno costrette a migrare. È il più grande esodo a memoria d’uomo. Ed è già in corso.
Terre Natale - Ailleurs commence ici. Topografia dell’altrove.Vale la pena di riconsiderare, dice Virilio, le nostre immagini di sedentario e nomade. L’occidente ha inventato una nuova forma di sedentarismo in movimento, dove non esiste “altrove” pur in una prospettiva geografica virtualmente infinita, liquida e priva di frontiere. Il nomade è invece quello che è sempre da nessuna parte, cittadino di niente, nelle metropoli occidentali o nelle nuove megalopoli sottosviluppate.
Lo spazio geografico e politico come è stato inteso fino ad oggi, sparisce: la cittadinanza occidentale si espande e scontra con la finitezza del pianeta terra.
Il fenomeno è illustrato da una quarantina di monitor sospesi, che collaborano o si alternano nella proiezione di scene di migrazione registrate dai telegiornali: è l’attualità irriconoscibile delle scene di migrazione. Ma saremmo capaci di dire quali migrazioni? Identificare luoghi e scenari politici?
La seconda parte delle videoinstallazioni si caratterizza invece per il concept mediatico quasi invasivo. Su un maxischermo a 360° sono proiettati dati statistici, espressi con animazioni in grafica 3d di altissimo impatto visuale.
Temi affrontati: “popolazione e migrazioni urbane”, dove si espongono i dati della concentrazione urbana planetaria. Ricordiamo soprattutto che il 2007 è stato l’anno del sorpasso: quello in cui per la prima volta nella storia, la popolazione urbana ha superato, su scala planetaria, quella rurale. Cosicché oggi il 51% degli esseri umani vive in città.
In “Flussi di uomini e denaro” si mostrano le quantità di denaro spostate dai risparmiatori emigrati: le somme di quella economia informale creata da chi lavora in occidente ed invia sostegni alla famiglia d’origine. Come in un perfido contrappasso o gioco di vasi comunicanti, i proventi delle usurpazioni del “primo mondo” sul terzo mondo fanno il loro viaggio di andata-ritorno. E viceversa.
Segue una rappresentazione in tre dimensioni ed in scala temporale delle “migrazioni forzate e politiche”: uomini come sciami di pixel in movimento fra Rwanda, Arabia Saudita, Kosovo, Regno Unito, Messico, Stati Uniti, Russia. Qui alle andate seguono solo raramente i ritorni, ed i trasferimenti di massa descrivono lacci intercontinentali fra mondonord e mondosud. Stessa rappresentazione grafica anche per le migrazioni passate, presenti e future, legate agli squilibri climatici ed alle catastrofi naturali. Cifre impressionanti, già triple rispetto alle masse in movimento per lo stesso motivo alla fine degli anni ’90.
Infine “Mari che salgono, città che scompaiono” proietta il livello del mare da qui al 2100: i nomi delle città si dispongono su un mappamondo virtuale e poi si espandono sull’orizzontale dello schermo a 360°. La scala temporale indica lo scorrere del tempo e le città migrano sopra e sotto l’equatore del limite di sommersione.
Per noi a dir poco amara la sparizione del litorale laziale e dell’Italia tutta (o quasi).
Fine. O meglio inizio. Perché le immagini di Terre Natale sono un terreno di coltura ideale per le cellule celebrali; incidono la mente e lasciano un solco profondo atto ad ospitare fertilissimi pensieri di scienza politica, anche a chi non mastica la materia.
Solo una cosa ci sentiremmo di imputare al duo Virilio – Depardon, e cioè la sparizione del local nella loro analisi del global. Sembra un ritornello, ma è efficace per dire che nella loro analisi non v’è quasi traccia delle migrazioni che travolgono l’Europa. È un effetto, forse, di quella tara alla centralizzazione, croce e delizia della Francia. Per cui, poco spazio alla disperazione del mediterraneo ed un occhio sugli “altrove” più prossimi alla Francia o agli Stati Uniti, per storia, indoli o colonialismi.
Ma non proprio per prossimità geografica.