the white stripes allo zenith. fuga rock dall’indie

scritto mercoledì 13 giugno 2007 alle 15:01

http://www.whitestripes.com
Breve e potente. Null’altro da dire per il concerto di white stripes che abbiamo visto allo Zenith di Parigi.
Dalle parti del parco tecnologico della Villette la sera del 16 ottobre si sono riuniti migliaia di teenagers e qualche attempato, per seguire il duo campione di incassi nel 2003 con l’album Elephant. E tutto questo a costo di una accurata perquisizione come non ne abbiamo mai viste in un concerto.

Quello che dimostrano sulla scena fratello Jack e sorella Meg White è che il rock è ancora vitale, e che le declinazioni garage, grunge, pop, electro, indie non bastano ad annientare il potere funesto ed originario del mito rock, la forza della chitarra distorta e della batteria a raffica di mitra.
Un concerto volato come un soffio solforoso, con tutto il sudore che si può pretendere dalla chitarra e dalla platea. Neanche una pausa, del resto, per i white stripes che hanno incatenato i successi più forti dei loro album mettendo alle strette un parterre letteralmente infuocato nel tempo dei primi quattro pezzi.
Ma la fatica (la generazione presente non era proprio quella dei Sex Pistols) si è fatta sentire: fra uno slam e l’altro ecco la riduzione progressiva del pogo e la magia degli accendini nell’intervallo delle ballate.

Il duo americano ha affondato la lama nel suo repertorio sputafuoco con “Dead Leaves and the Dirty Ground”, “Blue Orchid”, “I Think I Smell a Rat”, “Hotel Yorba”.
Disinvoltura sulle corde della chitarra, prepotenza di classe sulle pelli della batteria ed una peregrinazione continua di Jack fra una trincea di microfoni effettati e le tastiere suonate con la mano destra.

Il bello è arrivato però sulla mezz’ora di bis concessa dopo i rapidi cinquanta minuti di apertura e al prezzo di dieci minuti di ovazioni. E’ qui che si scatenano i momenti più intensi con “Hardest Button to Button” e “I Don’t Know What to Do with Myself”.
E finalmente una esplosione di salti e spallate con “Seven Nation Army”, che in ricordo della vittoria del mondiale usciva assai eclettica dalle ugole francesi.

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