Imperi solari e formicai

scritto giovedì 15 febbraio 2007 alle 10:36

L’Impero Solare è al collasso. Dopo il Regno del Dittatore Supremo, l’esercito di liberazione è insorto, rovesciando il potere costituito. Ora la tirannide è sigillata in un’insolita quanto claustrofobica cella sotterranea: un enorme formicaio. Quattro anni di isolamento per il Dittatore, il cui obbligo è quello di mandare improperi sulla sua persona attraverso una cavità comunicante con la piazza centrale della capitale. Ma lo stallo si spezzerà con l’ingresso di uno strano personaggio armato di trivella…Il formicaio, luogo amorfo, gotico e naif ad un tempo è al centro della mises en espace di Roberto Latini, realizzata per enzimi 2001 a partire da un workshop di scrittura teatrale di Marco Andreoli, intitolato, apputno “Il formicaio”.
Un work in progress anomalo, che trae vitalità da un connubio eclettico, e che articola un discorso letterario sulla falsa riga dell’immaginifico sudamericano, per trovare compiutezza nell’ormai “classico” calco stilistico di Roberto Latini.
Per dirla più comodamente, la sperimentazione “digital-teatrale” del giovane autore della Fortebraccio Teatro, si esprime ora attraverso una storia compiuta e fatalmente adatta alla sua estetica, fatta di rimandi e chiusure tematiche “a catenaccio”. Il regista-attore si sottrae alla scena, il suo corpo viene sostituito da Enzo De Mauro, accompagnato da Cristina Latini e Paolo Grimaldi, ma ne rimane come in un’eco lontana la voce.
Non più insomma le riflessioni astratte ed allucinate sui temi di Shakespeare (e dello spettacolo in sé): il teatro di frammenti è messo al servizio di un itinerario sospeso e complesso, che ne rivalorizza il particolare pastiche di tecniche videoartistiche e rimandi acustici.
Corpi dipinti e seminudi strisciano così su una scena filtrata dalle trasparenze plastiche di un telo, su cui fotogrammi allucinati e missati si accavallano quasi in controluce. Il Potere si manifesta allora nei punti di vista sghembi e nei movimenti a scatti, che richiamano il feedback secolare di un video di Marilyn Manson. L’inconfondibile voce di Roberto Latini detta regole e leggi di una “repubblica delle formiche” e quella di Cristina Latini si nasconde dietro a risonanze metalliche.
E poi alle immagini si sostituisco i corpi, che acquistano solo raramente posizioni bipedi: la narrazione procede sempre fuori campo, fra l’ipotetico diario di una dittatura, quello dell’infelicità di una donna e le frasi ingenue di un visitatore. Corpi e maschere danno senso ai loro movimenti.
E l’astrattismo di una condizione (e di un’estetica) ha riscosso la sua parte di verità.

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