hey girl! l’avvento del verbo, la tragedia del corpo

scritto mercoledì 22 novembre 2006 alle 12:12

 HeyGirl - photo © Francesco Raffaelli

Dalla nascita all’incisione di miliardi di bit nel cervello. Dal biologico al freddo asettico della tecnologia. È un viaggio nella storia sensuale dell’uomo “Hey girl!”, ultima fatica del geniale Romeo Castellucci e della sua Socìetas Raffaello Sanzio, vista all’Atelier Berthier del Teatro Odeon di Parigi in anteprima mondiale fino al 25 novembre.
Se possibile c’è un salto di qualità in questo spettacolo rispetto al precedente ciclo della “Tragedia Endogonidia”. I temi propri del teatro di Castellucci vi compaiono tutti: immagini come colpi al cuore, la crudeltà, le illuminazioni improvvise, la scena come reagente psicotropo o psicopatico, il linguaggio medico, l’allusione alle arti plastiche e alle avanguardie storiche, una scena che si fa tavolozza espressiva di sensazioni. Ma la compattezza del discorso postmoderno di Castellucci si potenzia, trasformando lo spettacolo in un blocco di cemento impenetrabile ed illuminante.
Il sodalizio con lo studio Plastikart evolve in una impressionante successione di effetti scenici perturbanti. Masse plastiche che si sciolgono su una tavola operatoria, lenti che esplodono sottoposte ad alta tensione, corrente elettrica che riscalda superfici cromate, laser, teste di gomma che impongono repentini cambi di statura alle attrici.
Il linguaggio medico e scientifico, talvolta ostentato nei precedenti spettacoli della Socìetas, è ora una marionetta implacabile che asseconda senza sbavature l’economia sintetica dello spettacolo.
L’uomo è un animale senziente. E Castellucci lo ha capito da tempo: con la crudeltà degna di un Artaud il regista agisce nell’intimo dello spettatore, lo sottopone ad una associazione di immagini sconvolgenti, rendendolo parte della meccanica quantistica dello spettacolo, o addendo di una sorta di ossidoriduzione delle sensazioni. Scott Gibbons ci mette del suo fornendo suoni e rumori mostruosi e tenui e violenti quali colonna sonora ideale di una apocalisse della visione.
Gli oggetti compaiono sulla scena come sensazioni ottiche, visioni repentine ma come congelate da sempre nella nebbia della scena senza quinte, in una durata indeterminata che si realizza hic et nunc, nella esplosione improvvisa di una luce o nell’interazione con l’attore.
Ed ecco allora il cambiamento più radicale rispetto al passato di Castellucci: il corpo (che sottoposto alla riflessione sulla retorica in Giulio Cesare diventava deforme e malato) è ora un corpo sano, che intraprende un cammino di abbandono del gesto per giungere alla parola. Un corpo moltiplicato. Un corpo come coscienza storica sulla quale si abbatte la tragedia della civiltà tecnologica.
In principio era il corpo. Ed in seguito venne il verbo con il suo potere pietrificante. “Hey girl!” successione di gesti fino alla conquista della parola, fino al distanziamento dalla realtà dietro uno schermo televisivo, fino alla violenza che non ci fa più nulla perché dietro un media, fino ad un laser che incide il mondo delle parole in digitale come se fosse il mondo vero. Il contenuto politico stavolta è esplosivo; le ombre nella nebbia evocano i fantasmi delle torture belliche, di Guantanamo, dei pestaggi televisivi.
Sugli schermi si succedono le parole di Romeo e Giulietta: si interrogano sul senso dei nomi assegnati loro dal caso. L’identità in un nome. Montecchi, Capuleti. La donna sulla scena fa eco: “che cosa devo dire?”. Ammaliata da due monoliti biancorossi insegue il senso, e mette in catene la sua copia decapitata. La schiavizza ed infine ne è schiava. Perché l’irrazionalità del gesto ha ormai lasciato posto al raziocinio del verbo.

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